MILANO CITTÁ D’ACQUA O IDROFOBA?
“Milano città d’acqua” è una mostra sulla Milano anni 1920-1950 (fino al 14 febbraio), tutta di fotografie d’epoca, tutte rigorosamente in bianco e nero, nello storico palazzo di via Sant’Andrea 6. Le foto sono spesso già note grazie a varie pubb
licazioni del passato e alla rete; riguardano il solo centro storico o poco più (Milano è 20 volte più grande e ha 13 volte i suoi abitanti), e per “città d’acqua” s’intendono i navigli, la Cerchia oggi coperta, l’ingegneria idraulica delle fognature, le due o tre piscine d’allora, l’Idroscalo (che però è decisamente fuori porta), le sei o sette fontane costruite in quel periodo, le “vedovelle”, i generatori delle idrocentrali Aem situate in varie parti della regione. I fontanili, che hanno fatto la fortuna di questa terra, non esistono, le rogge nemmeno. I fiumi (e Milano ne ha ben tre, sebbene ridotti a fogne) figurarsi. E le risaie che allagano alcune delle nostre aree agricole residue? Nemmeno a parlarne. Eppure, nelle zone periferiche queste cose ci sono ancora oggi e se c’è qualcosa di assomigliante a una città d’acqua e a una civiltà rurale antico/moderna è proprio lì in quelle zone, nonostante siano colpevolmente trascurate.
Insomma la “città d’acqua” (mai esistita, peraltro) della mostra si ferma dove l’acqua in realtà c’era e ora non c’è più e dove anche il mondo che l’accompagnava e giustificava è scomparso del tutto. A chi e che cosa serve questa mostra, formalmente bellissima, ma di pura oleografia fotografica? Promuovere la riapertura della Cerchia dei navigli? Se fosse così, non si comprende perché ricorrere all’aiuto di immagini come fogne, piscine e fontane presenti in tutte le città di questo mondo. Il rapporto con l’acqua, si dimentica, è anche negativo, non è così idilliaco: i tre fiumi di Milano, Seveso, Olona e Lambro, un tempo mera
vigliosi, sono ridotti a fogne e senza pensare agli tsunami, basterebbe ricordare Niguarda, periodicamente allagata da un fiume che si è voluto stoltamente tombinare, la Barona, periodicamente allagata dal fiume-fogna Olona-Lambro Meridionale, il parco Lambro, stessa sorte. Mancano le belle foto dei disagi, forse? Avevo g
ià specificato in altra occasione che è più corretto parlare di Milano non come “città d’acqua”, autentico non senso (allora Venezia ed Amsterdam che cosa sono?) ma come parte di una complessa civiltà dell’acqua dove, in alcune zone, è ancora conservato un rapporto di utilità, oltre che di bellezza, con canali quali la Vettabbia, i navigli, le rogge e i fontanili, in grado di regalare sprazzi di paesaggio dove c’è effettivamente un rapporto visibile e concreto con uno degli elementi fondamentali della natura e soprattutto c’è ancora un po’ di verde intatto intorno. Ma essendo Milano soprattutto cemento e asfalto, e avendo coperto quasi tutto quello che aveva a che fare con un corso o uno specchio d’acqua, questo benedetto rapporto risulta essere poco costruttivo e alquanto idrofobo.
Costo dell’ingresso: 10 Euro, veramente tanto per una collezione di foto nemmeno inedite. Niente materiale informativo per stampa e scuole, c’è solo a disposizione un catalogo fotografico da 32 Euro. Con molto meno si acquistano libri maggiormente significativi e istruttivi sulla storia della città.
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La Milano che non esiste più. C’era sì un po’ d’acqua, ma non esageriamo |
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