TICINELLO, IL PARCO “IMPRESSIONISTICO”
Anche questo è un parco storico e non ha nulla da invidiare al Parco Sempione, vi spieghiamo perché. A Sud di Milano c’è questo Parco del Ticinello, uno dei polmoni più estesi della città. Il Ticinello è un canale che nasce dalla Darsena, dove preleva le acque in eccesso portate dal Ticino tramite il Naviglio Grande e lungo un percorso sotterraneo le riporta alla luce proprio qui, dove inizia la porzione milanese del Parco Sud. Prima di gettarsi in po’ più avanti nel maleodorante Lambro Meridionale, cede acqua a una rete di canali diffusa nei campi caratterizzati dalla presenza di due cascine, Campazzo e Campazzino, e dall’elegante borgo di Selvanesco. Giusto questo vasto spazio agricolo (potrebbe contenere tre volte il Parco Sempione), è stato denominato Parco del Ticinello.
In tale fazzolettone di terra, osserviamo prima di tutto la conservazione di un paesaggio naturale come ci è stato tramandato da secoli. Così si presentavano i Corpi Santi fino a un secolo fa. È emozionante. Pittoresco come in un dipinto d’epoca impressionista. In un’ala di quella cascina abitò il Quarto Stato, un mondo di contadini e di braccianti viventi ancora oggi nel ritratto di Giuseppe Pellizza da Volpedo ed echeggianti nei romanzi del Naturalismo e del Verismo. Il bello è che i filari di pioppi neri sulle sponde delle rogge che conducono nei campi l’acqua del Ticino/Ticinello, sono stati piantati più o meno in quel periodo, alcuni di questi, a giudicare dalla circonferenza notevole del tronco, dallo sviluppo delle fronde, almeno 110 anni fa. Quasi tutti sono curvati verso l’alto per riequilibrare il peso secolare gravante sulle radici sviluppate sulle sponde delle rogge. Alberi? Più che altro castelli naturali. Quest’area è monumentale (i milanesi mica se ne sono accorti), in un certo senso, è il vero parco storico della città, perché non è il solito prato all’inglese, sicuramente è quello che più ne rispecchia fedelmente l’identità, il territorio, la storia, l’economia.
Intanto, vediamo ancora conservate, e utilizzate!, le marcite, i cui falci d’erba servono tutt’oggi ad alimentare le belle mucche della Campazzo, un villaggio rurale risalente al XVI secolo e poi via via ingrandito fino a diventare un villaggio di 200 persone, nel corso dei secoli. Oggi non ci vivono più di tre o quatro persone, fra cui la famiglia Falappi, gli ultimi allevatori milanesi. Campazzino, nonostante il bellissimo, unico, quadrato di verde in cui è immersa, purtroppo è in stato d’avanzato degrado. Ma Campazzo no. Vi sopravvive l’ultimo allevamento di mucche di Milano, o uno degli ultimi due, a quanto pare, grazie al quale Milano è una metropoli più unica che rara, perché è possibile scendere di casa, recarsi un un’area agricola e acquistare il latte appena munto da un’apposita macchina erogatrice. E le mucche che quel latte l’hanno prodotto le vedi lì a 10 metri.
Su tutto aleggia una ricca avifauna comprendente aironi (talvolta ben visibili) e uccelli rapaci notturni.
Ma la cascina Campazzo è particolare anche per un altro fatto raro: la chiesetta, del 1812, ospiterebbe (il condizionale è d’obbligo) le spoglie di quello che fu uno degli ultimi rampolli della famiglia proprietaria, Anton Luigi de Carli, un teologo piuttosto noto nell’Italia del XIX secolo (per saperne di più leggi qui).
La gestazione del parco è stata lunghissima. Risale al 1982. Erano terreni di Salvatore Ligresti, che in questo angolo integro della città di Milano aveva costruito interi quartieri tutt’intorno, in piena area agricola. La stessa cascina Campazzo, assediata, ha rischiato la demolizione. Come per magia, un giorno del 1985, con tre anni di ritardo, saltarono fuori tre lettere indirizzate al Comune, in cui il costruttore prometteva di cedere questa porzione dei terreni da lui posseduti per farne un parco pubblico. Inizia da allora un iter lunghissimo, con alterne vicende, durante il quale però si comprese che non poteva essere un parco all’inglese come tutti gli altri, ma doveva restare terreno agricolo per non distruggerne l’incanto, in sintonia con la nascita parallela del Parco Agricolo Sud Milano, composto da 44 Comuni limitrofi.
Nel 1988, fra agricoltori e cittadini, nasce il Comitato per il Parco del Ticinello, con il compito di aprire al pubblico e di vigilare sulle procedure e sui vari passaggi, affinché non sbucasse fuori qualche brutto scherzetto, sempre possibile quando si parla di costruttori che conoscono e sanno usare a loro vantaggio le leggi urbanistiche molto meglio dei nostri sempre disattenti amministratori. Attualmente, presidente del Comitato è Giuseppe Mazza, che intervistiamo in questo video. A tutti gli effetti, ancora adesso, il Ticinello è l’unica parte veramente fruibile della porzione milanese del Parco Sud, sebbene non ancora completamente attrezzata allo scopo. Ciò comporta un rapporto nuovissimo col verde pubblico.
Particolare non trascurabile, è che non si possono calpestare i prati, o si danneggiano le colture; è necessario restare nei percorsi e nei sentieri. La gente non è ancora abituata all’idea di parco agricolo naturale, qualcuno lamenta il mancato sfalcio dell’erba spontanea sui margini delle rogge e fra i campi, non rendendosi conto di dove si trova. Che si sia persa totalmente la cultura rurale, va bene, ok, ci sta, è il mondo che cambia, ma che sia venuto a mancare completamente il rapporto fra città e campagna, l’instaurarsi di un vero e proprio analfabetismo sulle cose riguardanti l’ambiente e l’alimentazione, è una cosa deprecabilissima.
All’inizio dicevamo che anche questo è un parco storico e non ha nulla da invidiare al Parco Sempione: è vero, salvo qualche panchina, in effetti non ce n’è nemmeno una. Il prossimo autunno partiranno alcuni lavori di adeguamento che le prevedono e che allestiranno alcune aree appositamente dedicate alla sosta, al picnic, alla bicicletta, all’osservazione della natura e dell’ambiente, nell’intento di coniugare, per la prima volta, mondo rurale e fruizione pubblica. «Chi viene al Parco del Ticinello – dice il signor Mazza – viene con uno scopo preciso: scoprire la natura, l’agricolrura, i cicli naturali e stagionali. Grazie alla cascina aperta, è un luogo dove i bambini possono avvicinare gli animali e familiarizzare con loro».
Insomma, adesso si entra in un polmone urbano per formarsi una cultura.
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