Nudi d’a(u)ttore: le “Bestie di scena” della Dante

 Le Bestie di scena

Il corpo come premessa

Prima di iniziare questo articolo, occorre tenere presente quanto poco gli italiani siano abituati alla nudità in pubblico. Secondo la tesi di molti, anche di critici teatrali, come per esempio (incredibilmente) quello del “Fatto quotidiano”, perché sia espressa al cinema o in teatro occorre una motivazione “seria”, altrimenti è mero, deprecabile, vogare voyeurismo. Va detto invece, che la nudità completa è molto praticata in Europa, per esempio nei parchi della costa croata, nei parchi urbani e nelle spiagge di molte città europee indifferentemente da uomini, donne, Le Bestie di scenaragazzi e bambini. Decine di villaggi turistici la consentono. Essere nudi, in altri termini, è una cosa “normale”, il corpo a qualunque età e forma, non è una cosa che necessariamente si deve nascondere e anzi è rilassante, liberatorio, amorevolmente e teneramente umano mostrarlo, alla faccia delle più vetuste pretese religiose, alle quali risale il senso di vergogna. Dove sta scritto, in base a quale convenzione, i sei personaggi di Pirandello non possono recitare completamente nudi fornendo una grande prova artistica?
Tutto questo, al di là di qualsiasi preoccupazione se soddisfare o meno qualche malato voyeur. Che va sanzionato solo quando è pesante e indiscreto, non in ogni caso, perché in fondo è del tutto ovvio e spontaneo osservare il corpo altrui. Un po’ “malati” lo siamo tutti, “dobbiamo” essere “malati”.

Teatro dell’antiparola

Data questa necessaria premessa, ecco che il lavoro dei 14 attori guidati “crudamente” da Emma Dante, “Bestie di scena”, prodotto dal Piccolo Teatro, risulta più chiaro e comprensibile. Si lavora con il corpo, non con la parola. In questa “mise”, gli attori non dicono assolutamente nulla, a parte qualche frase da grammelot. Non c’è un vero copione. E’ un teatro dell’antiparola, antipirandelliamo e antishakespeariano, se vogliamo, “antibiblico” al massimo. Eppure, Pirandello, Shakespeare, Adamo ed Eva ci sono, in un certo senso sono ben presenti. Recitano i corpi completamente nudi, appunto. Perché ebbene sì, il corpo senza veli in scena è una forma di spettacolo. E pure alta, Le Bestie di scenagiacché tale è il contributo chiesto all’attore che accetta di assumere la parte come mamma l’ha fatto. L’attore nudo sul palcoscenico non è semplicemente nudo: in realtà indossa un costume di scena particolare. Quella nudità non è come quella della persona normale, deve parlare, deve comunicare qualcosa.
Emma Dante è talmente affermata come regista e autrice, che avrebbe potuto approfittare della produzione del Piccolo allestendo uno spettacolo costoso negli ingaggi degli attori, nelle scenografie e nei costumi; le produzione del Piccolo spesso costano un milione di Euro e anche più. Invece, qui scenografia zero, costumi zero, attori non conosciuti. Costo: quasi niente. Eppure lo spettacolo è grande lo stesso. Ci vuole poco per far saltare il più classico dei tabù, la più antica sicurezza borghese.

Da Caravaggio a Tunick

Si entra in sala mentre i 14 attori si riscaldano collettivamente con esercizi da palestra; l’odore del sudore si sente pure forte in platea. Per tutto lo spettacolo, gli attori si muovono in gruppo coprendosi con le mani le parti intime, ma non sempre possono e comunque non è questo il punto e nemmeno lo vogliono. Si vede bene che coprirsi con le mani è una concessione alla Le Bestie di scenapruderie di un pubblico non abituato e con il quale vogliono confrontarsi. Il gruppo in più di una occasione e lungamente, con quelle mani coprenti “le vergogne”, pare uscito dalle fotografie dei lager nazisti, pare un consesso di fantasmi evocanti le terribili condizioni in cui può essere costretta la prigionia dei corpi. Ma non è solo questo. Che cosa possono fare tanti corpi nudi in scena? Tutto: ironia, gioco, esibizione, ballo, liberazione, provocazione, studio, divertimento. Scorrono i mille quadri del nudo d’arte: flash che ricordano un Caravaggio, per esempio o, in piccolo, le fotografie di Spencer Tunick. O dei prototipi identitari: la ballerina, la bambolina, lo schermidore, il pugilatore, perfino la scimmia nuda e così via.
Gli attori si divertono un mondo, sì. Si prendono abbondantemente gioco della vergogna. Trasmettono tutta la gioia della liberazione intesa nel modo più profondo ma anche più ovvio e semplice. Scandalo nello scandalo, si toccano pure fra loro, gli uomini osano toccarsi a vicenda proprio “lì” come in una performance di Jean Fabre. In una parola: si esibiscono fingendo di provocare. E questo non piace molto alla critica a tal punto attaccata alla sacralità dei testi, da non riuscire a concepire altre modalità di espressione artistica.
Le Bestie di scena



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