Pride 2017, che cos’è cambiato nelle gay-parade di oggi
Note di un “vecchio” militante milanese.
di PAOLO RUMI
Sono andato bello allegro al Pride. Forse per motivo del tempo che passa, per la prima volta ero sicuro che mi avrebbe sorpreso. Sono arrivato con bell’anticipo e come in tutti i Pride o cortei della mia vita non sono stato fermo un minuto (credo che il posto fisso dove star fermo lo avrò solo al cimitero) e ho salutato qui e là un po’ di amici e amiche cari. Gianni Geraci del “Guado” mi ha accolto dandomi del reperto archeologico (grazie), ho convenuto con Claudio che siamo giovani del secolo scorso anzi (ho precisato io) del millennio scorso, ho scambiato quattro parole preziose con Monica (con riflessioni che permeeranno alcune di queste mie righe).
Carosello commerciale
Poi però quando ho cominciato a vedere troppi marchi commerciali presenti mi sono rotto e mi sono piazzato al semaforo d’angolo sotto il sole cocente, all’angolo tra via Vitruvio e Settembrini con un solo scopo: veder passare tutto il corteo tutto e capire cos’era diventato il Pride. In questo mi sentivo molto vecchio milanese, e in fondo tutto questo carosello sono uno di quelli che l’ha iniziato con la radio, i collettivi etc etc. Siccome sono sono un tipo sfuggente e mi stanno sulle scatole le convenzioni di ogni genere (compreso la provocazione a tutti i costi) della militanza gay non ho mai voluto o potuto approfittarne e farci i soldi quindi resto davvero un vecchio milanese e non una celebrity.
Il Pride è stato bellissimo, a modo suo: un fiume di gente, una iniezione di energia multisessuale, multicomportamentale e multirazziale (c’era un numero non ridicolo di ragazzi neri o non europei in corteo, alcuni rifugiati, altri semplicemente boni). Non ho visto un Pride delle altre città ma Milano poteva ben essere soddisfatta di se stessa. Restano comunque alcuni nodi da sciogliere e li dipano qui così:
nodo #1.
la troppa presenza di marchi commerciali. C’era la Vodafone, la Microsoft, IBM, Zurich assicurazioni, Amazon, Vitasnella e una serie di new entry tutti coi dipendenti schierati per dire che sono con noi. a far che, vien da dire? alla fin fine spiace che il movimento per i diritti di gay, lesbiche, trans ed altri sembra diventato una variante di sviluppo (o meglio un pascolo facile) del capitalismo avanzato. non dico di rimpiangere le tette fuori ma diventare un happy hour della Confindustria no. Addirittura c’era Deliveroo con ragazzi che facevano pubblicità vestiti da pizza o da sushi (con questo caldo infernale!) circondati da giovani sindacalisti col megafono che accusavano Deliveroo di sfruttare i dipendenti (ma va’… davvero?).
nodo #2
Il Pride è bello ma è passato da Gay Pride a Human Pride, una festa tanto per bere qualcosa e far casino. Questo effetto Love Parade aiuterà la società ad accettare la varietà in amore e spingerà magari molti indecisi a vincere le proprie inibizioni e farsela con uno o una del suo stesso sesso.
Ma la verità più dura è un altra. Che poi scopano tutti senza ritegno e senza educazione, c’è l’epidemia di epatite A, per esempio e di tutte le malattie che pur non essendo HIV si trasmettono con rapporti non protetti. E molti usano la terapia PREP come prevenzione per sentirsi liberi di scopare come conigli senza protezioni. Non è per questo che ho iniziato a lottare tanti anni fa. E’ per mettere le basi di una coscienza nuova non di un lupanare. e la trasformazione del Pride in Festa degli O Bej O Bej non aiuta.
nodo #3
l’Italia non ce la può proprio fare. L’ho pensato quando è passato lo spezzone di corteo dei Sentinelli di Milano che trasmetteva dalle casse “Occidentali’s Karma” dimenticando la bellissima parodia “Omosessuali’s Karma”… uno può dire “non lo sapevo” ma amore mio se ti metti a fare la soundtrack del Pride dovesti saperlo sì. Tra l’altro mentre al finale del corteo milanese porta il saluto Paola Barale (???) e canta Alexia (???), Francesco Gabbani che ha vinto Sanremo canta a Madrid. Se non c’erano i soldi per pagarlo, c’era un’ottima ragione per mettere su una canzone che lo prendeva il giro raccontando come stanno le cose dal nostro punto di vista.
Morale della favolosa: tutto bello, ma molto “so what?”. Il Pride è stato un mondo di persone, il che butta bene per parlare della varietà d’amore come una normalità. Un sacco di donne (mi ricordo quando le lesbiche in corteo erano 4, adesso sono migliaia e anche favolose!). Ho visto bandiere dell’arcobaleno con la stella di David, bellissime. In risposta alla richiesta di sobrietà della Luxuria (da che pulpito!), non ho visto neanche una -e dico una!- tetta fuori (a parte quelle a forma di palloncino sul camion delle adorabili ragazze di LezPop). Milano è sobria di suo e i fotografi dovevano proprio cercare qualche ragazza scollacciata o qualche abito particolare. Era un po’ festa dell’Esselunga in versione Centro Sociale.
Ma il fatto di vivere in un Paese dove comandano ipocrisia e Vaticanal ha portato a un passaggio generazionale senza passaggio di informazione e senza figure di riferimento culturale forti. Già i giovani – di ogni orientamento sessuale e ogni cultura – sono convinti di aver inventato il mondo loro e quindi ci troviamo la Microsoft in corteo e Scalfarotto in Parlamento. e il Pride è una festa palliativo. Va bene così, sempre meglio di quando il Pride fummo costretti a farlo chiusi nel Cinema Cristallo perché il Comune non ci concesse Parco Ravizza. ma spero che questa marea umana trovi direzioni mature in cui esprimersi, ne abbiamo tutti bisogno.
Un ultimo pensiero che aggiungo è per Mario Mieli, nostro ex concittadino che ho visto passare in fotografia su un carro di SI (credo sia Sinistra Italiana) con un bel foulard in testa, di quelli che rubava alla madre come le collane di perle che poi si metteva per andare in giro per la città in bicicletta. Chissà cosa avrebbe pensato di questa manifestazione, un poligono ormai talmente irregolare che qualunque lato potrebbe consentire una critica, e figuriamoci ad una figura polemica come lui.
Con tutti i suoi limiti Mario è stato per me una figura di riferimento e rispetto a lui e altri sono già di seconda generazione nella comunità (che ormai dobbiamo constatare esiste). Senz’altro a Mario sarebbe piaciuta la presenza di così tanti ragazzi di colore. Giusto a sfatare il fatto che in Africa l’omosessualità non esiste e la considerazione necessaria che se liberazione esiste è necessariamente collettiva (metà di loro saranno immigrati), per tutta la specie Homo Sapiens. Nel camion della spazzatura che puliva la strada a fine corteo c’erano poi bottigliette rosa shocking (chissà a cosa avrebbero dovuto servire), con la scritta “a Sylvia Rivera”.
Sylvia Rivera è la trans che iniziò la rivolta di Stonewall, New York, il 28 giugno di un po’ di anni fa. Tirò la scarpa alla Polizia che perquisiva il locale Stonewall Inn. Qualcosa di noi magari resta. E oggi la Polizia chiudeva senza problemi il pacifico corteo. Dobbiamo partecipare al corso delle cose e ciascuno porti il suo contributo. Dobbiamo rispondere alla domanda che qualche anno fa misi su una maglietta che creai: “i tempi che corrono, dove vanno?”.
Le fotografie di questa pagina dono di Paolo Rumi
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