BORGHI MILANESI / Il “canto con l’acqua” alla base del sistema
articolo del prof. Marco Prusicki – docente del Politecnico di Milano (*)
SOMMARIO: Ce n’è un gran numero. Nel territorio comunale di Milano sono stati censiti poco meno di 200 corsi d’acqua attivi, per un totale di ben 300 chilometri, tutti tratti scoperti. E’ accanto a questi corsi d’acqua che è sorta la rete dei borghi. Difficile parlare dei borghi milanesi senza fare riferimento all’acqua.
Sfogliando le belle pagine del libro di Roberto Schena, i segni dell’acqua nella vita dei borghi sono molteplici. La presenza dell’acqua nei borghi /cascine del milanese ne ha sempre costituito uno degli elementi fondamentali caratterizzanti, pur nelle note differenze tra l’alta pianura asciutta e la bassa pianura irrigua. D’altra parte il sistema delle acque di Milano è stato da sempre stato riconosciuto come una delle sue principali ricchezze. Vale la pena di richiamarne molto sinteticamente alcuni aspetti.
DUEMILA ANNI INGEGNERIA IDRAULICA
Milano ha costruito il suo rapporto con l’acqua nel corso di almeno duemila anni, a cominciare dalle centuriazioni romane: “La centuriazione non dipende da motivi astratti ma da un puntuale apprezzamento delle necessità agricole soprattutto dell’irrigazione e dello scolo delle acque.” (Guido Achille Mansuelli, 1971) “Questi resti si impongono come il complesso documentale archeologico più imponente della civiltà romana; se confrontati con i contributi di altri tempi si presentano come l’impronta più ampia e durevole impressa dall’uomo al paesaggio italiano” (Pierluigi Tozzi, 1974).
Questo impianto si consolida e si sviluppa a partire dal XII secolo in particolare con le grandi opere di bonifica dei monaci Cistercensi e Umiliati e permane ancora oggi. La quasi totalità dei borghi individuati nel libro di Schena si ritrova già nella nota carta del 1600 dell’architetto-cartografo Giovanni Battista Clarici (1542-1602), da confrontare con la situazione di poco meno di tre secoli dopo descritta dalla carta Vallardi in occasione della prima annessione al Comune di Milano dei Corpi Santi avvenuta nel 1873. Il sistema delle acque è qui rappresentato nel momento del suo massimo splendore, prima della crisi e della rapida decadenza in epoca moderna.
“LA DIVINA ACQUA CANORA”
Lo aveva evidenziato lucidamente e tra i pochissimi, Ugo Monneret de Villard (1881-1954) – cui devo il titolo del mio intervento – ingegnere, allievo di Camillo Boito, poi divenuto orientalista e archeologo. L’ingegnere diede tra i primi un contributo fondamentale agli studi della forma della città di Milano, intraprendendo una indagine storicotopografica della Milano romana e medievale, e cercando di difenderla dall’assalto della città moderna e dall’ “ostracismo” nei confronti delle acque. Della “divina acqua canora”, come scrive nel 1907 in un capitolo della sua sintetica parafrasi del testo “L’arte di costruire le città” di Camillo Sitte, intitolato appunto Il canto dell’acqua, che si conclude lanciando un appello rimasto purtroppo del tutto inascoltato: “Bisogna invece conservare i nostri corsi d’acqua, aumentarli se è possibile, crearne di nuovi, non solamente nei pubblici giardini e nelle passeggiate, ma nel cuore stesso dei nuovi quartieri … l’acqua concorre meravigliosamente colla sua nota viva all’armonia estetica dell’architettura”.
LA PERDITA DELL’IDENTITA’
Crisi evidentissima nella parte centrale della città (con la scomparsa della Cerchia) ma che investe anche e le sue parti esterne travolte dal processo di espansione della città, dove i paesaggi più incisi dalle trasformazioni recenti sono certamente caratterizzati, rispetto al passato, da una perdita di identità intesa in duplice modo: come chiara leggibilità del rapporto tra fattori naturali e opere dell’uomo e come coerenza linguistica e organicità spaziale di queste ultime, come è stato messo in evidenza in molti contributi.

I 200 corsi d’acqua ancora all’aperto nel territorio comunale milanese. In rosso i centri storici e i borghi della città. La parte con meno corsi d’acqua coincide con la maggiore urbanizzazione (compresa nell’ovale)
Fra tutti, possiamo qui ricordare le parole scritte da Calogero Muscarà poco più di 40 anni fa, citate anche da Eugenio Turri in uno dei suoi testi più importanti (Semiologia del paesaggio italiano, 1979, p.46) e riferita proprio alla “civiltà contadina”: “Ciò che entra in crisi e viene rapidamente cancellata è … la lunga consuetudine in ciascun luogo degli abitanti con il proprio ambiente: lo stretto rapporto che teneva insieme attraverso lunghi secoli della storia i piccoli gruppi umani della vita locale, dei paesi, dei borghi alle mille forme del paesaggio della penisola; la valutazione primaria, che veniva necessariamente attribuita a tutte le condizioni ambientali, capaci di assicurare il pareggio nel conto sempre aperto della sopravvivenza.” (C.Muscarà, La società sradicata, Angeli, Milano , 1976, p.12). Tuttavia, nonostante il processo di negazione e rimozione, così come per i borghi (i 70 borghi sopravvissuti… “che pochi conoscono”) anche il sistema delle acque ha mostrato una certa resistenza. Il Comune di Milano ha censito poco meno di 200 corsi d’acqua attivi (186, per la precisione) per un totale di oltre 300 km (sì, proprio 300 km) di tratti scoperti (oltre ai 200 km dei tratti tombinati) che si sviluppano all’interno dei confini amministrativi.
Prima considerazione
Se proviamo a sovrapporre acque e borghi vediamo che si rafforza molto la tesi della disponibilità di una risorsa ancora notevolissima. Credo, quindi, che il tema del destino degli antichi Borghi agricoli di Milano, di questo patrimonio da “riscoprire, preservare, rivivere”, vada strettamente correlato a quello delle acque, almeno laddove è ancora possibile, ovvero in particolare nelle aree periurbane. Un patrimonio che credo debba e possa ancora deve essere osservato e trattato come un patrimonio unitario, indivisibile, capace di restituire relazioni fondamentali, legando STRETTAMENTE LA RINASCITA DEI BORGHI ALLA RINASCITA DEL SISTEMA DELLE ACQUE.
È necessario indirizzare il riutilizzo di questo patrimonio verso la multifunzionalità. cercando forme di compatibilità – contrastando il più possibile gli effetti potenzialmente negativi cui abbiamo accennato – il che significa accettare la ricerca di soluzioni “pseudo-ottimali”, ovvero superare i vincoli contrastanti, rinunciando talvolta ad ottenere la “massima efficienza” di un’unica funzione.
Terza considerazione
Il riferimento all’unità e alla multifunzionalità richiede una visione multiscalare e multisettoriale, in grado di tessere le relazioni assegnando a ciascuno un ruolo e uno o più temi in grado di caratterizzare le diverse realtà in continuità con la loro formazione – sviluppando in tal modo forme appropriate di resilienza. Non solo quindi vederli come una risorsa da valorizzare in quanto tale, ma individuare una strategia, i modi attraverso i quali come essi possano divenire i nuovi CAPISALDI di una politica volta alla riqualificazione di una parte estesa della città, sia nel tessuto costruito ma anche e soprattutto nelle frange esterne, nelle periferie (oggi giustamente al centro di particolari attenzioni), in quella parte del patrimonio che ancora conserva un rapporto con gli spazi aperti, come quello che il libro ci propone mettendolo in primo piano.
UN PRIVILEGIO LE PERIFERIE CE L’HANNO…
Le periferie hanno qualcosa che non ha il centro. A fronte delle tante criticità rilevabili nelle aree più esterne, di frangia, una delle sue condizioni distintive, su cui poter far leva nel processo generale di rigenerazione urbana è certamente il rapporto privilegiato, “a portata di mano” (di vicinanza, di fruizione, di percezione) con gli spazi aperti (sia per la morfologia urbana e tipi edilizi che per il rapporto con i grandi spazi aperti ancora disponibili). Una carta straordinaria, credo, da giocare nelle politiche di governo del territorio. Non ricercare, quindi, una omologazione (peraltro impossibile) con i valori della città densa, ma esprimere, mettere in luce, potenziare i valori della città diradata in un rapporto che potremmo definire di “mutuo soccorso”, sfruttando le smagliature, gli strappi, le pieghe, per usare un linguaggio che ci riporta alla fortunata metafora del rammendo di Renzo Piano (26 gennaio 2014) – intendendo che è proprio anche nelle piccole smagliature dell’urbanizzato che si possono creare grandi occasioni di riqualificazione capillare.
AQST – MILANO METROPOLI RURALE
Questo approccio è alla base di un’importante iniziativa: l’Aqst – Milano metropoli rurale sottoscritto nel 2015 da soggetti pubblici e dai 4 Distretti Agricoli milanesi che persegue il consolidamento e valorizzazione della matrice rurale, per lo sviluppo sostenibile e integrato dell’ambito metropolitano, di cui qui vediamo lo scenario, la visione di futuro in cui la rinascita dei borghi viene vista assieme alla previsione di funzioni e servizi che facilitino l’accesso alla terra, all’incentivazione della biodiversità agricola, favorendo la coltivazione con tecniche agroecologiche, alla gestione multifunzionale dei boschi, valorizzando nel contempo il patrimonio storico e culturale, basato innanzitutto sul recupero e potenziamento del sistema delle acque milanesi.
VETTABBIA-CHIARAVALLE, UN LABORATORIO
La riapertura dei Navigli – il potenziamento della Vettabbia – anche in ambito urbano, e la riqualificazione dei corsi d’acqua naturali, maggiori e minori, la riapertura delle sorgenti, insieme alla valorizzazione delle falde, la restituzione di acque depurate all’attività agricola: Questo si sta facendo nella grande area di rigenerazione del territorio della Valle della Vettabbia con al centro il Borgo di Chiaravalle definito nel libro di Schena come il “borgo più bello e invidiato”- luogo che è diventato un vero e proprio laboratorio di sviluppo urbano sostenibile e integrato. Dove il primo elemento è stato proprio la reinvenzione del sistema delle acque con la restituzione al territorio della Vettabbia, un evento epocale reso possibile dalla entrata in funzione del Depuratore di Nosedo nel 2005 – cui è conseguita la realizzazione del Parco Agricolo Urbano della Valle della Vettabbia che si sta consolidando sia per l’acquisizione di altre aree ma anche per le importanti iniziative di recupero e ridestinazione delle cascine abbandonate. Concludo con qualche immagine di questa nuova realtà, che peraltro ho contribuito in parte a realizzare.
(*) Il presente articolo è una sintesi dell’intervento del Professore durante il convegno sui borghi milanesi all’Urban Center (vedere qui sotto le varie sintesi). Il prof. Marco Prusicki ha curato per conto del Politecnico di Milano, insieme ad Antonello Boatti, il progetto di riapertura della Cerchia dei Navigli. Ambedue sono membri del Comitato Scientifico costituito dall’Amministrazione comunale per avviare l’opera.
gli articoli precedenti sullo stesso argomento
BORGHI MILANESI / Il Parco dei sentieri interrotti: la connessione
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