Monluè: monaci “trasgressori”, borgo, progetti / VIDEO

 

Il borgo di Monluè fra la Tangenziale e il fiume Lambro

Mons Luparium, “Monte dei lupi”, sembra impossibile, ma era l’antico nome di Monluè. Probabilmente, in inverno scendevano lungo il percorso del fiume Lambro, che passa lì accanto, fino a quando un gruppo di monaci Umiliati non decise, nel XII secolo, di farne uno dei centri maggiori del loro importantissimo ordine affratellato ai cistercensi di Chiaravalle.  Infatti, bisogna pensare che a questo ordine di monaci, noti per la precisione e l’onestà, il Comune di Milano aveva appaltato la riscossione delle tasse, con ampia facoltà di decidere se e come farle pagare per non dover accecare ingiustizie, o gravare troppo sui contadini e provocare inutili rivolte.

Monumentale sala capitolare

La loro sede centrale era in Santa Maria in Brera, nel posto oggi occupato dalla celeberrima Pinacoteca di Brera. L’area attigua al fiume Lambro fu  ricevuta in donazione, ma non era delle più felici. Il fiume da sempre è notevolmente imprevedibile, capace di estese alluvioni come di minime portate d’acqua.  La comunità lavorò molto per farne un borgo dove fosse degno di viverci. Sempre nel XII secolo iniziò la costruzione dell’abazia, in stile romanico-lombardo, la cui facciata si presenta singolarmente doppia. Una dà accesso alla chiesa, l’altra alla Sala Capitolare, dove si riunivano i monaci. Come si vede, alle due facciate fu data la stessa importanza.

La sala capitolare

Archi e colonne ancora murati nell’ala della sala capitolare

Dipinto XII sec. , sala capitolare, part. Foto Andrea Cherchi

Tutto cambia dopo un delitto

Don Bortolo Uberti, parroco di Monluè, spiega in questo videointervista il percorso storico del luogo, così fortemente legato agli Umiliati. L’ordine divenne così potente da entrare in attrito con la chiesa del tempo. Sospettato di eresie calviniste, fu posto sotto stretto controllo dal cardinale Carlo Borromeo, il quale nel 1570 subì un attentato ad opera di un monaco umiliato, che gli sparò un’archibugiata, uscendone però “miracolosamente illeso” (per saperne di più leggere QUI). Papa Pio V perse la pazienza e letteralmente ordinò la disintegrazione dell’ordine, a cui furono sequestrati tutti beni e rivenduti o assegnati agli altri ordini, tra cui spiccarono i gesuiti. Inizia quindi da qui la lenta decadenza dell’abazia: la Sala Capitolare fu trasformata via via in cascina, in abitazione per i contadini, lo si vede anche dalle fotografie d’epoca mostranti dai panni stesi ad asciugare intorno alla chiesa stessa. Il borgo intorno, invece, continuò a prosperare fino agli anni 50 del Novecento, quando massacrato da industrie e tangenziale perse la sua vocazione rurale. Ecco perché Monluè potrebbe essere definito “borgo umiliato due volte”: una perché fondazione dell’omonimo ordine, l’altra per la perduta vocazione agricola.

L’abazia di San Lorenzo di Monluè in un dipinto del 1874 di Alessandro Greppi

“villaggio leopardiano”

Tuttavia, Monluè è e resta uno dei borghi più pittoreschi e intatti di Milano, quasi un villaggio leopardiano dove immaginare la  donzelletta che

vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole…
L’ambiente si presta, basta osservare l’acquarello di Alessandro Greppi del 1874 , qui a fianco, con le tre figure femminili intente a intrecciare capelli e a cullare un neonato. Il campanile è senza pennacchio e s’intravede un pezzetto di grangia, che invece si nota bene nella fotografia qui sotto, scattata nella quiete dopo la tempesta. 

Il monastero

Purtroppo le condizioni della grangia (così si chiamano le cascine costruite dai monaci) non sono in buone. Un progetto del Comune di Milano, proprietario del tutto, prevede la sua ristrutturazione in favore di persone inabili. Lo spiega sempre in questo video, il presidente del Municipio 4, Paolo Guido Bassi, il quale ricorda come un tempo nel borgo vi si svolgevano feste o serate musicali frequentate da migliaia di persone.  Peccato non continuare quell’esperienza, il luogo, vasto e spazioso, si presta. La spesa prevista non è indifferente, siamo sui 6 milioni ma d’altra parte si tratta di adattare e/o abbattere mura erette nei secoli e se non si fosse lasciato decadere il tetti, oggi il recupero costerebbe molto di meno.

 

 




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