LORENTEGGIO, la gesa di lusert, reliquia di un borgo scomparso
Simbolo di resistenza alle manie distruttive
È solamente una capannetta con un grosso buco sopra la porta, senza ornamenti e talmente piccola da essere situata nel parterre centrale della via. Da quella posizione, si è conquistata un posto nel cuore dei milanesi. In passato si è tentato di abbatterla perché “dà fastidio al traffico”, o “perché non vale niente”, eppure, per quanto piccolina e fastidiosa sia, è lì che ti guarda dai suoi mille anni di storia. Uno dei rarissimi edifici sopravvissuti intatti nel lunghissimo arco di tutto questo tempo, a Milano.
Restaurata alla perfezione durante gli anni 80, è uno degli edifici rimasti dell’antico Comune del Lorenteggio, delle decine che lo caratterizzavano, alcuni dei quali davvero spettacolari, come la cascina Arzaga, monumentale borgo medievale con tanto di chiesa “a chiosco”, affrescata, situato poco distante. Nei due casi, borgo-cascina e chiesetta, i milanesi si erano opposti all’abbattimento. Con il primo non ci sono riusciti: il 19 agosto 1966, con l’assenso del Comune, la proprietà immobiliare l’abbatté nottetempo per evitare contrasti con la popolazione. Con la seconda, sì, vinsero la battaglia.
il libro della “gesa”
Lo spiega Paola Barsocchi nel suo Oratorio di San Protaso al Lorenteggio, la più piccola chiesa di Milano, di 118 pagine, il primo libro mai scritto su questo straordinario monumentino. La chiesettina, anzi: l’Oratorio San Protaso in Lorenteggio, dell’XI secolo (allora il borgo si chiamava Laurentiglio), aveva funzione di luogo di riparo dai temporali e di culto per i contadini del borgo, uno dei più importanti del circondario milanese. Purtroppo, è anche uno di quelli distrutti completamente.
Il disinteresse attuale del Comune nei confronti degli antichi borghi, è cosa nota e antica, risale ai vasti abbattimenti programmati con il piano regolatore del 1884, diretto dall’ing. Cesare Beruto, e perdura ancora oggi. In conseguenza di quel piano, che molto piaceva agli speculatori, furono abbattute le mura spagnole, diversi monumenti storici e borghi interi del Corpi Santi, tra cui Calvairate. Dal testo della Barsocchi veniamo a sapere che nei piani di demolizione di allora, anche la chiesetta del Lorenteggio avrebbe dovuto fare una brutta fine. Nel 1887, quando il terreno era ancora parte del Comune di Corsico, si progettò la strada per Abbiategrasso (in milanese Biegrass), quella che poi sarebbe divenuta la via Lorenteggio. In quei frangenti, il luogo tornò a essere di raccolta e di preghiera dei contadini, per cui si preferì soprassedere.
Importanti nemici, molto orgoglio
All’inizio degli anni 30, poco dopo l’annessione del Lorenteggio a Milano, fu sventato un nuovo assalto del Comune, che la strada la stava costruendo davvero. La chiesa, non c’è nulla da fare, non è in linea con la via, andava abbattuta e basta. E invece rimase in piedi, non si sa bene perché. Probabilmente gli abitanti dell’attigua cascina San Protaso (abbattuta, ovviamente), chiesero espressamente di fare il possibile per risparmiarla. Una preghiera ascoltata, vuoi perché non erano ancora gli anni del boom economico, vuoi perché la guerra dilatò i tempi. Così, la via rimase ferma per un ventennio.
Fino ad anni 50 inoltrati, era ancora un’epoca in cui il Comune stesso provvedeva ad abbattere i monumenti storici della città, considerati dall’architettura razionalista di allora vecchio ciarpame. Quando nel 1955 si procedette nuovamente con l’attuare il progetto della via Lorenteggio, il rischio dell’abbattimento divenne estremamente concreto. Ma ecco nuovamente entrare in scena l’opposizione degli abitanti. In particolare, l’ingegner Ugo Weiss scrisse una lettera alla Soprintendenza con la richiesta di farla vincolare ai sensi delle legge 1089 del 29 giugno 1939, nota come legge Bottai. Weiss sottolineò che nonostante l’architettura banale, al suo interno vi siano affreschi medievali di una certa rarità (visita virtuale qui). La Barsocchi nel suo libro spiega esattamente uno per uno con che cosa abbiamo a che fare. Si scopre così che alcuni affreschi risalgono addirittura all’XI secolo, rarissimi a Milano, con scene di caccia. E’ il segno di una frequentazione aristocratica, confermata da un altro dipinto, del XV secolo, rappresentante Santa Caterina da Siena, figura particolarmente cara, appunto, a questa classe sociale. Una tradizione medievale, senza fondamenti storici, associa il vescovo di Milano Protaso, morto martire, all’aristocratica famiglia milanese degli Algisi.
Piccola e grande storia
Dietro la chiesa passava l’Olona, oggi vi passa ancora, ma totalmente al coperto, causa odore parecchio sgradevole. Poco più in là, circa 300 metri dopo piazza Napoli, s’infila sotto il naviglio Grande, da cui riceve un po’ d’acqua per chiamarsi, da quel punto in poi, Lambro Meridionale. Leggende e ipotesi s’intrecciano. Essendo orientato verso il solstizio d’estate, l’oratorio lascerebbe pensare che precedentemente vi fosse un tempietto pagano situato vicino a un ponte, un punto di passaggio. Probabilmente un tempio celtico, visto che da alcuni scavi intorno sono emersi resti che lo lasciano pensare.
Il primo a volerla distruggere sarebbe stato il Barbarossa, anno 1162, per punire il borgo del Lorenteggio, dove incontrò una resistenza particolarmente accanita. L’imperatore, secondo la leggenda, entrò nell’oratorio per pregare e chiedere la vittoria sui milanesi, cosa che ottenne, per cui la piccola costruzione fu salvata. Nel Medio Evo le vicende incalzano: prima fu alloggio di un frate, il cappellano della chiesa di San Cristoforo, altro bel monumento poco distante: poi funse da cappella per le suore; i soldati napoleonici la usarono come deposito d’armi, mentre nel Risorgimento fu punto d’incontro tra il conte Federico Confalonieri e la Carboneria milanese. Tornò a Pessere luogo di culto, fino agli anni ’50, quando la nuova chiesa sorta nel quartiere assorbì i fedeli.
Un soffio di poesia
Abbandonata a se stessa, sembrava un rudere. Per tutti era la chiesa delle lucertole, la gesa di lusert. A soprannominarla così è l’attore Piero Mazzarella (1928-2013) che racconta come una mattina, passando accanto all’oratorio, osservò i piccoli rettili arrostirsi al sole, sulle pietre situate davanti alla porta. Alla gesa, Mazzarella dedicò una deliziosa poesia in dialetto, una delle più belle dedicate a un monumento cittadino e anche delle più facili da comprendere per chi non conosce il dialetto milanese.
La gesa di lusert
(testo di P. Mazzarella, musica di B. Mojetta)
L’è ona gesa che gh’è in su la strada che pòrta a Biegràss,
la gh’ha minga el sagraa e l’è fada de sass;
l’è frèggia d’inverna, coi mur che se lassen andà,
ma la cros del Signor la te manda calor.
Quand l’è primavera e in de l’aria l’è teved el sô,
caccen dent el crapin e stan lì a curiosà,
la famiglia luserta: i fiolìn con la mamma e ’l papà
lì de sòtt de la cros preghen fòrsi anca lor.
Nòtt e dì gh’è semper ‘vert a la gesa di lusert,
lì ghe prega la pòvera gent, senza cà, senza nient.
Fàmm la grazia anca a mì, che son pòver come tì,
tì t’el see che son senza pretes,
scusom tant se hoo pregaa in milanes.
La “gesa del Lurentegg” dà un’idea di come si costruiva in età preindustriale, con i mattoni cotti al sole capaci di durare un’eternità. Fra un paio di secoli, i grandi edifici di cemento posti intorno non ci saranno più, mentre lei, la geseta del Lurentegg, sarà ancora lì a sfidare la storia.
Il volume è acquistabile presso l’Oratorio di San Protaso in occasione di aperture per eventi.
Per riceverlo direttamente a domicilio e per sapere quando l’oratorio è visitabile, scrivere a gesadilusert@gmail.com.
Articolo di Roberto Schena per ilcielosumilano.it
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