Vita di campagna, di L. Carminati “BUCATO GROSSO (la bugada)”
LAVATRICE PREINDUSTRIALE
Il bucato grosso, così chiamato perché si lavavano lenzuola cambiate nel periodo di sei mesi, si faceva due volte all’anno, in autunno e in primavera. Si stabiliva nei giorni in cui il tempo era indirizzato al bello, con ottime giornate soleggiate. Occorrevano: un grosso mastello (el sigion) e altri piccoli, una caldaia (la caldera) per scaldare l’acqua posta sopra la furnaseta (fugon). Il fuoco veniva ravvivato con le fascine. Poi serviva la lisciva, il sapone (el saun), il bruschino (la spaseta), la cenerata o ranno (acqua che passa sopra alla cenere e viene filtrata), l’asse (l’ass de lavàa) e dei cavalletti di legno da mettere sotto ai mastelli bassi (di legno) in modo da non essere tanto curvi a lavare ed evitare il tanto noioso mal di schiena. Nel bucato soprattutto occorreva el grass de gumet, come diceva spesso la nonna.
E VAI CON l’OLIO DI GOMITO
Il grass de gumet non è che l’olio di gomito. Era un detto popolare e voleva dire che per ottenere un bucato bianco occorreva strofinare con energia, perciò il gomito doveva muoversi continuamente. Le lenzuola sporche si tenevano ammucchiate su una grossa corda stesa o in un ripostiglio o sul granaio. Non venivano poste nel cesto per timore che con l’umidità ammuffissero. Deciso il giorno del bucato, le donne si alzavano presto al mattino appena spuntava l’alba; deponevano la biancheria nel grande mastello e la lasciavano a bagno con acqua fredda per tutta la giornata.
Poi, dallo spinotto posto in basso del mastello, si faceva uscire l’acqua sporca. Per tenere libero il foro del mastello si metteva all’interno un osso di maiale detto spadola, dalla forma di ventaglio. L’osso lo si teneva in disparte ogni volta che si uccideva il maiale. Verso sera, si univa della lisciva e, quando l’acqua bolliva, con il secchio si versava l’acqua bollente nel mastello filtrandola attraverso uno strato di cenere posta in un telo che appoggiava ai bordi del mastello sostenuto da due robusti legni.
ALLE TRE DEL MATTINO…
Quando l’acqua sfiorava tutte le lenzuola, il mastello si copriva con sacchi o con giacche in disuso in modo di tenere l’acqua calda per il giorno seguente. L’acqua veniva riscaldata in una caldaia di rame sostenuta da mattoni. Chi aveva un rustico era messa in un angolo della lavanderia oppure si metteva in un angolo riparato dal vento in cortile all’aperto. Ogni famiglia aveva la sua caldaia e quando era il suo turno la usava. Il fuoco era alimentato con delle piccole fascine raccolte dalle donne nel campo dopo lo scalvo delle piante. Poiché il bucato grosso richiedeva tante ore di impegno, le donne addette si alzavano alle tre del mattino e trovavano ancora l’acqua calda nel mastello che era stata versata il giorno precedente. Toglievano la biancheria strofinandola e battendola ben bene.
COLLABORAZIONE NEL TORCERE
Nell’acqua rimasta, chiamata ranno oppure colatura, si lavavano i panni colorati. Poi si rimettevano le lenzuola nel mastello grande e si buttava l’acqua bollente per tre volte di seguito e per tre volte si toglieva aprendo il solito spinotto del mastello. Durante questo travaso le lenzuola non si toccavano, solo l’ultima volta si univa acqua tiepida in modo da poterli togliere e strizzarli per bene. Dopo un’abbondante sciacquatura si stendevano su delle corde lunghe e robuste attaccandosi alle piante che si trovavano ai bordi del campo vicino alla casa.
Una volta risciacquati, per far uscire più acqua possibile, si torcevano le lenzuola. In due si prendevano i bordi del lenzuolo e una girava da una parte e l’altra dall’altra, finché era uscita tutta l’acqua, e poi si andavano a stendere.
FIN DA BAMBINE…

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