Crescenzago

CRESCENZAGO, da Riviera di Milano a borgo “sironiano”

di Pietro Esposito (*)

Prefazione a: “Crescenzago: Luoghi e voci”,  di Tullia Gianoncelli (Edfc, 2018), studio etnografico su uno dei maggiori borghi milanesi

Il borgo di Crescenzago, propaggine ora del nord-est di Milano, era un tempo comunità autonoma con il proprio municipio e tutti i rituali dell’amministrazione locale, orgogliosa della propria identità storica e culturale. Come altri comuni diviene periferia con il Regio Decreto del 10 settembre 1923 che sancisce la sua l’aggregazione a Milano bisognosa di espandersi.

Scorcio d’epoca del borgo milanese

Da piccolo centro, dunque a “terra di confine” della città che si avvia a diventar metropoli. Varie pubblicazioni di storia locale hanno illustrato questo sito stretto tra Martesana e Parco Lambro sede di un ricovero per la peste (lazzaretto) e abitato fin dalla preistoria, come dimostrano i reperti ritrovati a Cascina Cattabrega. La sua Chiesa Rossa, gioiello del Romanico, fu per lungo tempo sito della spiritualità agostiniana e anche sepolcro di Matteo Visconti, il Magno signore di Milano.

Posto di svago e delizie

Il Naviglio giunse nel borgo nella seconda metà del Quattrocento, realizzato dagli ingegneri idraulici ducali con il contributo del genio di Leonardo, e fu per Crescenzago un grande impulso al suo sviluppo, che permise al luogo di rendere florida la sua economia agricola e commerciale e divenire in seguito luogo di una lunga tradizione di bon vivre, ove fiorì tra Martesana e Lambro la “Riviera di Milano” posto di svago e di delizie dei nobili milanesi. Poi nel Novecento distretto industriale presto preda del degrado ambientale dove i prati spesso erano bianchi anche a giugno e dove un poeta ci si meravigliava che vi sorgesse il sole:


Tu forse non l’avevi mai pensato,
Ma il sole sorge pure a Crescenzago.
Sorge, e guarda se mai vedesse un prato,
o una foresta, o una collina, o un lago; 
E non li trova, … 
Pompa vapori dal Naviglio asciutto. 
Dai monti il vento viene a gran carriera. 
Libero corre l’infinito piano. 
Ma quando scorge questa ciminiera 
Ratto si volge e fugge via lontano, 
Che il fumo è così nero e attossicato …


Sono i versi di Primo Levi, impiegato nel 1942-43 alla Wander (attuale Cargo) uno degli stabilimenti della zona. Il borgo acquisisce caratteri dagli scorci sironiani, e una potente fisionomia industriale consolidatasi nel dopoguerra negli anni del boom e della migrazione dal meridione e da altri luoghi d’Italia. E infine lunghe storie di vecchie e nuove migrazioni. Mescolio di voci appunto come flatus vocis di genti, innumerevoli persone che hanno attraversato il paesaggio e dove spesso hanno radicato le proprie vite.

Ricerca sulla vitalità di un borgo

Copertina del libro di Tullia Gianoncelli

Tullia Gianoncelli, etnografa, con Crescenzago: Luoghi e voci, si propone di indagare il territorio, la sua storia, la sua gente con i suoi metodi che non trascurano il vissuto e le esperienze delle persone residenti e come Alberto Savinio, ne ascolta il cuore. Il risultato è un approccio incantato e mediato a un tempo dagli strumenti della ricerca etnografica sul campo. Siti e persone intrecciano la loro vita e la loro identità in una osmosi immanente e necessaria. Si tratta di una visione orizzontale del territorio, in lungo e in largo, che ha come fine l’umanità che vi pulsa e che coglie l’aspetto poetico dell’abitare come luogo in cui confluiscono memorie, relazioni familiari, di vicinato e genericamente sociali.

All’occhio freddo della ricerca antropologica, essa contrappone oggetti, suoni, olezzi e sogni. E’ questo il senso della sua indagine sensoriale, e solo a tali condizioni essa definisce il luogo e ne ascolta le voci. Si fanno così i conti con il filo della nostalgia e dei ricordi e i modi del racconto autobiografico del sé. Qui le voci si ricreano come forze primordiali, dotate di un potente dinamismo evocativo. In tal senso il linguaggio è impensabile senza la voce. L’indagine di Tullia attraversa le memorie degli abitanti spesso sognanti, pregne di significati e valori archetipi, e in esse il paesaggio e le sue trasformazioni hanno il ruolo determinante. Non il luogo Crescenzago descrittivo, topografico domina in queste pagine, ma un mondo saturo di emozioni ed esperienze: un evento, appunto, dove abitano gli uomini assieme al fluire delle acque di cui esso è impregnato.

c’è sempre una rievocazione

Le persone rievocano risorgive, marcite, pascoli e boschi, spesso ricordi emersi dalla vita del borgo agricolo che si avvia ad industrializzarsi e a contorno alle loro avventure di bambini e ragazzi. Tutte queste notizie si affastellano nella narrazione antropica di Tullia, in un racconto paratattico del territorio, disegnato per quadri successivi, in cui la memoria definisce prospettive e gerarchie. E cosi che si rincorrono le parti del testo: luoghi e voci, appunto che si confrontano con l’Io narrante della etnografa che ripensa al suo lavoro e i nessi tra il flusso dei pensieri e l’osservazione è fluido e solidissimo a un tempo: 

Stradina acciottolata di Crescenzago

Percorro di nuovo via Berra, stavolta in senso inverso, dal fondo verso via Padova e sui miei passi risuonano le storie ascoltate. Ripasso davanti alla chiesa, cammino sull’acciottolato davanti all’ingresso, sassi di fiume, portati fin qui e posati ad arte. Osservo il susseguirsi composto dei sassi che mi ricorda i punti a mano di un pizzo merletto. La sciura Teresina che abitava a S. Mamete, era una ricamatrice di una bravura impressionante, sopraffina.


Tramite questi modi, l’Autrice con grazia e levità di stile e di pensiero, ci predispone all’ascolto delle voci e ci prende quasi per mano a condurci lungo i luoghi, il verde, le acque del sito di Crescenzago, porta di Milano verso Venezia e gli Orienti. osito – responsabile del Servizio di Storia Locale del sistema bibliotecario milanese.

(*) L’autore di questa recensione è Pietro Esposito, responsabile del Servizio di Storia Locale del Sistema Bibliotecario Milanese.




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