Milano, Italia?

MILANO? MA SIAMO SICURI CHE SIA ITALIA?

In realtà è sempre più la città delle multinazionali, ormai snobba perfino l’Hinterland che l’ha resa grande. Milano e i milanesi (e i lombardi) non hanno mai creduto nel bel paese, ma solo narcisisticamente a se stessi

Giuseppe Provenzano

Il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano ha centrato il problema. Anzi, dovrebbe dire qualcosa di più, della sua riflessione riguardo il rapporto di Milano con il resto del Pese e il Sud in particolare. Rapporto che non esiste, ammesso e non concesso che ci sia stato un tempo in cui il capoluogo lombardo abbia restituito qualcosa al Sud in termini di progetti, investimenti e cervelli. D’altra parte se per effetto della globalizzazione mondiale la metropoli non ha quasi più industrie ed è diventata sede di 4mila multinazionali, non si può nemmeno pretendere che si senta ancora una città italiana. Ed è soprattutto da banche e assicurazioni e imprese multinazionali che riceve denaro per i suoi lodati grattacieli, oltre il quale non c’è molto altro sviluppo.

Sud e Roma: per i milanesi sono dei pesi

In che cosa Milano, col suo immenso Hinterland fatto di antichi borghi e di vastezone industriali, è ancora la città-guida, del Paese? In quale dimensione può riproporsi come città-laboratorio, un ruolo detenuto magnificamente dall’inizio del secolo XX fino agli anni Settanta? In realtà, milanesi e ancora più i lombardi (così affezionati alla Lega) non hanno mai creduto nel bel paese, non si sono mai lasciati commuovere dallo Stivale, dando prova di notevole pregiudizio, chiusura e spesso di ignoranza. Del Sud e di Roma non ne parliamo, sono ritenuti dei pesi, mai delle opportunità. Milano e i milanesi hanno sempre guardato, narcisisticamente, se stessiOggi Milano non è certo un faro per le aree rurali, che sono ancora il 20% del suo territorio comunale, tutt’altro. Qui il territorio verde residuo (parco sud), che non è poca cosa, è totalmete fuori controllo, tra discariche abusive, uso esteso dei diserbanti, abbandono e rovina dei borghi/cascine, malagestione del sistema delle rogge e dei canali, assenza di impegno ambientale negli habitat. Un Comune dove non si tiene minimamente in considerazione l’area rurale, il rapporto non esiste proprio.

Skyline delle città italiane [iStok-Getty]

Cattivo rapporto col circondario

Non lo è, un faro, nel disordine della crescita edilizia, ancora affidata a criteri meramente speculativi e nel consumo di suolo, di cui detiene addirittura il record nel Paese. Ne vedremo delle belle con lo spostamente di Città degli Studi in quel gran macello urbanistico, che è il groviglio Rho-Pero. Non è un faro nella gestione dei quartieri popolari, dove il degrado peggiora a vista d’occhio nell’inerzia dell’amministrazione. Non nella non gestione delle periferie (50% dell’urbanizzato) e dei suoi pur straordinari centri storico-artistici, come Chiaravalle e Garegnano, trascurati nel disinteresse più vergognoso e lasciati alla rovina. I borghi di Milano non sono certo i 32 boroughs di Londra.

Certo, è all’avanguardia nel funzionamento dei servizi pubblici fondamentali, soprattutto sanità (dove scricchiola un po’ per colpa della Regione), trasporti, rifiuti, istruzione, avendo ereditato lo stile dell’amministrazione teresiana. Ma solo rispetto al modello italiano, non europeo, dove ha ancora molti passi da compiere. E del senso civico dei cittadini si può anche dire un gran bene, ma non più di Torino, Genova, Firenze e, per certi aspetti, Roma o Napoli, dove un discreto impegno da parte delle associazioni combatte il degrado di certi quartieri e servizi.

Eccellenze sprecate

Eppure Milano dispone di istituzioni “d’eccellenza” che potrebbero studiare non solo come razionalizzare i suoi spazi ma agire da tramite per lo sviluppo del Paese. Giustamente c’è chi come Roberto Biscardini ha fatto presente che non c’è un futuro di Milano senza l’Italia e senza lo sviluppo del Sud. Il guaio è che palazzo Marino si rivolge al Politecnico per delle cretinate dispendiose e inutili. Come per esempio la “riapertura” dei falsi navigli, la moltiplicazione della movida, le olimpiadi che certo non sono un modello di rispetto socio-ambientale. E che cosa dire dell’Expo totalmente inutile sul cibo, non ha lasciato traccia su un tema così importante. Sono tutte iniziative di richiamo dove al massimo intascano le catene alberghiere. Ma per un anno, poi basta. Poi la rumba “dell’aureo richiamo” deve attaccare di nuovo con qualche altro pretesto.

Icone lineari degli skyline

La Cultura con la C maiuscola, a parte gli istituti universitari, che però sono dello Stato, è intesa unicamente come kermesse di mostre. Ci sono solo gli allestimenti “di richiamo”. Più che altro lustrano le scarpe ai politici. Ai milanesi, che snobbano la Pinacoteca di Brera e le preziosità de loro territorio perché non è roba da selfie, quelle mostre non sono di grande aiuto. Paiono più interessanti alle caotiche movide notturne, alle chiacchiere davanti a un daiquiri.

Milano vista dal Regno unito

In recente articolo pubblicato dall’inglese The Guardian, si cita lo studio di alcuni ricercatori che sembra redatto su misura per Milano. “La città post-industriale, affermano gli autori dello studio, è una storia di successo basata sul raggruppamento di servizi di fascia alta nelle grandi metropoli. Negli anni ’80 e ’90, scrivono, i centri industriali come la Ruhr in Germania hanno sofferto del relativo – e in alcuni casi assoluto – declino della produzione industriale. Le città più grandi – spesso capitali come Parigi o Londra – sono state [invece] in grado di sostituire una produzione industriale in declino con servizi di alto valore. Milano si è scrollata di dosso l’entroterra industriale che l’ha resa grande nel XX secolo, ma ora dimostra scarso interesse per il suo Hinterland, a cui spera di rubare abitanti per ingrassare i profitti immobiliari, figuriamoci per il Paese.

La straordinaria fotografia è di Andrea Cherchi

 

 




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