Libri d’antan / 4. COSÍ NEL 1456 NACQUE LA SANITÁ MENEGHINA
Lo Spedale dell’Anunziata, poi chiamata Ca’ Granda, poi Ospedale Maggiore, infine Università Statale: 500 anni di storia e di arte iniziati con gli Sforza e il Filarete. Come si è formata l’assistenza sanitaria nella “capitale lombarda”, che ancora nel 1955 non prevedeva alcun “boom” economico
Articolo di Roberto Schena
Ancora due libri trovati alla Scaldasole, situata nella via omonima dietro la darsena in Porta Ticinese. Devo avvisare che, purtroppo, spesso degli autori di vecchi libri non abbiamo alcuna notizia biografica, allora non si usava pubblicare anche solo poche note biografiche sul retro di copertina, come oggi. Un peccato perché per loro merito ci hanno fornito molte informazioni che altrimenti sarebbero andate perdute.
Come nascono sanità e assistenza
Lo Spedale dell’Anunziata, ovvero dell’Annunciazione (dell’Angelo a Maria), ma senza la “o” e con una “n” sola, è un libro scritto da due veri esperti nel campo della storico, Edoardo Bressan e Giorgio Cosmacini, a cuta di Franca Chiappa, pubblicato nel 2005 dall’Ospedale Maggiore di Milano, non certo la prima volta nelle veste dell’editore. Un testo che tutti i medici e infermieri o studenti nelle due discipline, o comunque chi è addetto a lavori in campo sanitario, dovrebbero leggere. Attraverso la costruzione dello Spedale, iniziata nel 1456 con l’inaugurazione degli Sforza, passa infatti l’intera storia della medicina sociale, la sanità pubblica, in altri termini. La quale altro non è che l’assistenza a poveri, malati, anziani, invalidi, bambini, vedove e donne rimaste sole.
Tutto inizia nell’età comunale, quando sorsero, per opera di conventi e monasteri, ordini religiosi e confraternite, una lunga serie di centri ospedalieri od ospizi. Spesso erano collocati in robusti edifici, ancora oggi esistenti, non più con lo stesso scopo ovviamente. Con gli Sforza, a metà del Quattrocento si passa a una grande costruzione prestigiosa, denominata, appunto Spedale dell’Anunziata prima, Ospedale Maggiore Ca’ Granda dopo. E, infine Università Statale, la condizione attuale.
L’ospedale più grande d’Europa
Gli Sforza, Francesco e Maria, chiamarono allo scopo uno dei maggori architetti del tempo, il Filarete, il cui lavoro meraviglioso, in mezzo a mille difficoltà finanziarie, si ammira in via Festa del Perdono. All’Annunciazione, infatti, evento celebrato il 25 marzo, coincidente con l’inizio della primavera, corrispose la particolare Festa del Perdono celebrata proprio lì, davanti allo Spedale, probabilmente anche per raccogliere, in cambio del perdono, le donazioni utili alla nuova struttura. Ci sono dei quadri d’epoca a illustrare l’evento.
Gli altri ospedali della città furono riorganizzati secondo le varie specializzazioni: lungodegenti, cronici, infettivi, “pazzi” e così via. Già cinque secoli fa era stata messa in piedi una poderosa macchina logistica che andava dal pronto soccorso ai vari reparti, dalle lavanderie alle cucine. Nel XIX secolo poteva ospitare fino a 2500 pazienti, la Ca’ Granda era talmente granda e prestigiosa da costituire i secondo nosocomio d’Europa.
Capitale ristretta
La capitale lombarda, di Giovanni Cenzato, è un testo di letture scolastiche del 1955. Pubblicato dalla cattolica Sei è interessante per sapere che cosa si pensava a e di Milano negli anni immediatamente precedenti il boom economico. Stando a questo libro, l’intuizione di un’imminente esplosione economica che avrebbe portato un benessere diffuso, non era nemmeno nell’aria, non la si prospettava minimamente. Nessuno ne parlava. Anzi, l’economia come materia pare non esistesse, non destava alcun interesse. Milano, da questa prospettiva, è vista soltanto nel ristretto cerchio del centro storico, e nemmeno tutto, solo le vie intorno a piazza del Duomo e della Scala. E sì che in quei frangenti stavano radendo al suolo il Bottonuto, il più classico dei quartieri milanesi, ricco di monumenti di ogni epoca, per costruirvi “l’efficiente” via Larga.
storie di una borghesia appiattita
Le storie milanesi sono tutte tratte dalle vicende della borghesia, il resto della città con le sue immense periferie non è percepito, non interessa. Tuttavia, La capitale lombarda, è una raccolta di racontini legati alla città che si può gustare per l’ingenuità espressa. Si parla molto di chiese e di religione, di “apostoli sociali” e di uomini di cultura, di pie banche dedite alla raccolta di beneficienza e del Teatro alla Scala, di banda civica ma non di Affori, naturalmente. Una Milano fatta di benestanti colti e onesti e pie dame di carità.
Degli intellettuali atei il Cenzato si fa beffe caricaturando le loro vicende, fino a renderli grotteschi. Così con Honoré de Balzac, che quando venne a Milano sarebbe stato trattato malissimo, con Giuseppe Verdi che ha la stramba idea di farsi seppellire nell’ospizio da lui finanziato, con Cesare Beccaria alle prese con la moglie furbacchiona, con l’immorale Stendhal, che definisce Cassina dei Pomm “più deliziosa di Versailles”. Dame un po’ libere ce ne sono, ma sotto sotto sono tutte poco virtuose. Tutto sommato, una capitale provinciale, almeno nella visione ristretta dell’Autore. Un testo involontariamente comico, per figlie di buona famiglia.
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