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IL FRATELLO DELLA DELEDDA: SANTUS MA SOLO NEL MARTIRIO

Mentre il percorso di Grazia è ascendente, quello del fratello è opposto. Respinto dal ragazzo che amava, storia impossibile per quei tempi, si perderà nella follia. Antonio Mocciola scrive un doppio monologo sullo sconosciuto rapporto fra i due 

Luca Pala e Valeria Bertani interpreti di “Deledda’s revolution”, testo di Antonio Mocciola

Ti vergogni di me?”. La domanda gira più volte tra fratello e sorella, nella pièce in prosa. Si chiamano Deledda tutt’e due, lei Grazia, premio Nobel per la letteratura nel 1926, lui Santus, il primogenito, dal destino diametralmente opposto. Lei a trent’anni si allontana dalla Sardegna di inizio Novecento e giunge, in un quarto di secolo, alla massima gloria letteraria, alla celebrità mondiale. Nell’isola si muoveva senza badare al perbenismo imperante e per ricompensa le danno della “bagassa”. L’altro è il coccolo di una famiglia notabile di Nuoro, in quel periodo non ancora provincia e non aveva nemmeno i 36mila abitanti di oggi, bensì 30mila in meno.

delicato come un cembalo

Nuoro, scorcio di una via del centro all’inizio del Novecento

Amante della lirica, suonatore di cembalo, orgogliosamente ostile alla virile pratica del cavalcare, Santus sarebbe destinato a un brillante avvenire se non si perdesse innamorandosi, negli anni degli studi, poco o per nulla corrisposto, di un amico, il bellissimo Antonio Pau, che deciderà di andarsene sul Continente. E’ ancora l’epoca, per dirla con Oscar Wilde, dell’amore che non osa dire il suo nome. 

Santus resta per tutta la vita in Sardegna. Dilapida il patrimonio di famiglia e finisce nel baratro dell’alcol. La spirale verso l’inferno dura molti anni dopo la morte, avvenuta in giovane età, di Antonino, il vero trauma era la scoperta dell’omosessualità. Si toglie la vita nel 1915, ricoverato in manicomio. Fratello e sorella, l’una “puttana”, l’altro “caghineri”, s’innamorano contemporameamente dello stesso ragazzo. “Ti vergogni di me?”, si chiedono reciprocamente, interrogando l’amore fraterno. 

sessualità novecentesca

La biografia dell’una riflette in pieno il mondo femminile al suo risveglio, ma per l’altro non può esserci ancora nessuna liberazione sessuale, nessuna speranza, non ci sarà per nessuno al mondo fino all’ultimo quarto di secolo. I due destini, così opposti all’interno della stessa famiglia, sono oggetto di “Deledda’s revolution”, breve opera teatrale di Antonio Mocciola in cui parlano sia Grazia, sia Santus fronteggiandosi in un doppio monologo, giacché non c’è un confronto, non ci può ancora essere in quel momento storico, dovrà passare mezzo secolo. Come vivevano gli omosessuali prima che con la rivolta di Stonewall si appropriassero della parola? L’argomento è da tempo nelle ricerche diell’Autore, che ha costruito diversi dialoghi teatrali, tra cui L’isola degli invertiti, centrato sugli omosessuali confinati alle isole Tremiti durante il ventennio fascista da arbitrari provvedimenti di polizia.

doppia repressione esterna/interna

Grazia Deledda in una fotografia post premio Nobel 1926

Santus è completamente esposto sia alla repressione sessuale della sua epoca, sia all’autorepresione, ai sensi di colpa, di cui rimane prigioniero. Lei, invece, è protetta dal regime fascista. In effetti, Mussolini l’adorava, la leggeva e privatamente ne consigliava la lettura (lo ha fatto anche con la Petacci in una lettera del 1945). Sperava di farne uno strumento di propaganda, ricevendo però un netto rifiuto in nome della libertà artistica. Affidò a lei la redazione dei sussidiari in uso alle scuole elementari, cosa che invece realizzò il figlio Sardus perché Grazia se ne disinteressava, anticipatrice del femminismo com’era non voleva passare per una al servizio del regime. Infatti, nel suo caso non si parla mai di antifascismo, bensì di a-fascismo. Ed è forse uno dei motivi per cui dal dopoguerra è dimenticata. Va tenuto conto però che nel 1926, quando le diedero il Nobel per la letteratura, le donne premiate per questa disciplina erano appena due su 14 assegnazioni già avvenute: la prima fu la scrittirice svedese Selma Lagerlöf, la seconda donna a ricevere il premio fu Grazia Deledda. Ancora oggi la disparità fra uomo e donna nell’ambito del premio è notevole, anzi è aumentata a dismisura: dal 1901 al 2021 gli uomini premiati sono 868, mentre le donne sono appena 56.

come il giovane werther

Grazia con quel Nobel si guadagnò per il resto della sua vita l’avversione di Luigi Pirandello, vincitore del premio solo otto anni dopo. Ambedue raccontano della loro terra, Sardegna lei, Sicilia lui. Invidia a parte, forse è il riflesso della profonda diversità esistente fra le due grandi isole.

Nuoro, l’Atene della Sardegna, i nomi di personaggi illustri nel primo Novecento

In un certo senso, Santus, una vittima dell’amore come poteva esserlo il giovane Werther di Goethe, è la conferma della Sardegna povera e arretrata che la sorella andava descrivendo nei suoi romanzi, “povera” soprattutto di modernità. Tale quadro sociale è però respinto da diversi intellettuali sardi, allora come oggi, confessano di non apprezzare la scrittrice proprio per questo. Ma è esattamente la sua fedeltà alla realtà a essere stimata dai più noti scrittori e critici, anche non italiani e di statura internazionale. Fra l’altro, è sempre Grazia a ricordare, ancora ventenne, come Nuoro sia «chiamata scherzosamente, dai giovani artisti sardi, l’Atene della Sardegna. Infatti – scrive – relativamente è il paese più colto e battagliero dell’Isola. Abbiamo artisti e poeti, scrittori ed eruditi, giovani forti e gentili, taluni dei quali fanno onore alla Sardegna e sono avviati anche verso una relativa celebrità». Purtroppo, il fratello Santus non riesce ad adattarsi. 

il lavoro di Mocciola

Nel 1915, quando le muore il fratello, Grazia è già molto nota nel mondo, aveva pubblicato quasi tutti i suoi romanzi, spesso tradotti all’estero con ottime recensioni; il Nobel arrivato sei anni dopo non è un regalo. Santus non saprà mai liberarsi dai sensi di colpa, radicati nella loro isola come in tutto il mondo. Così nel lavoro di Mocciola è rievocata la partenza di Antonio, il momento dell’addio: “Antonino è partito di giugno, io ero vestito bene ed ero al porto. Facevo l’uomo. E lui pure. Aveva un accenno di barba, lo baciai. Mi punsi la guancia. Non ci vedeva nessuno. Mi baciò sulla bocca. Io pure. Gli accarezzai il collo, con le dita nel colletto della camicia che la madre gli aveva inamidato troppo. Era troppo rigida. Sei troppo rigido, Antonino. Piangi. Piangi un po’ con me. Ecco, bravo. Perché piangi se è solo una vacanza estiva? Torni a settembre no? O per caso mai più?”.

Francobollo commemorativo

innamorati dello stesso ragazzo

Anche lei è innamorata di Antonio, ma non vuole offendere il fratello: “Sono scappata da Nuoro perché non ero felice. Perché sentivo bisbigliare al mio passaggio che ero una cattiva cristiana. Perché volevo provare ad essere importante per qualcuno, e soprattutto per te. Ti amo Santus, fratello bello e disperato. Ti amo come non ho amato mai nessuno, neppure Antonino, che mi indispettii a volere io, e che – come tanti altri – alla fine ha scelto chissà quale terzo litigante. Buffi siamo, noi pecore nere della stirpe Deledda”, sono le delicate parole.

La figura tragica del giovane Santus, portata per la prima volta sul palco, è interpretata con intensità e immedesimazione straordinarie da Luca Pala, nuorese doc proprio come tutti i Deledda. L’amore difficile per il fratello nascosto è qui altrettanto intensamente interpretata da Valeria Bertani. Il testo di Antonio Mocciola e la regia di Diego Galdi scavano aspetti inediti di una vicenda letteraria e umana troppo poco conosciuta, che emoziona e sorprende, nella sua modernità.

DELEDDA’S REVOLUTION di Antonio Mocciola – con Luca Pala e Valeria Bertani – regia Diego Galdi

Copetina: Grazia Deledda in un dipinto di Gef Sanna




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