L’ITALIA MIGLIORATA (SALVATA?) DALLE GIUNTE ROSSE
In un libro di interviste si parla della funzione di avanguardia assolta dai governi locali di sinistra: l’esperienza fondamentale di Bologna, città modello anche per l’Europa già negli anni Sessanta. Emerge l’aspetto migliore del riformismo e si comprende che cosa vuol dire governare un ente locale
La Bologna di Dozza
Per comprendere il ruolo giocato dal Partito comunista italiano non basta guardare alla Costituzione, ai sindacati, ai rapporti atlantici. Manca un aspetto fondamentale quando si compiono analisi storiche: le amministrazioni locali, o le “giunte rosse”, dove il Pci ha in realtà dato il meglio si sè. Nel dopoguerra, l’unico capoluogo di Regione governato dal PCI, è Bologna. Tutto parte dal suo mitico sindaco Giuseppe Dozza (1901-1974), rimasto in sella per ben 21 anni, dal 1945 al 1966. Militante già a 20 anni nel PcdI di Antonio Gramsci, espatriò a Parigi e a Mosca. Rientrò in Italia nel 1943, prima per organizzare la Resistenza a Milano, poi come sindaco di Bologna designato dal CLN. Dozza aprì subito ai cattolici in linea con l’impostazione gramsciana data da Palmiro Togliatti al partito. Rimase sindaco fino al 1974, quando dovette dimertetrsi per ragioni di salute, sostituito da Guido Fanti.
parlano ex amministratori
Negli anni Sessanta, la città studia un modello di urbanistica chiaramente all’avanguardia, ripreso anche a livello internazionale. Lo spiega una ricerca di Andra Ambrogetti, “GiunteRosse”, interviste sul buon governo, con prefazione di Fabio Martini, editore Gambini, 15 Euro. Le interviste sono tutte ad ex assessori o sindaci di diverse città dell’Italia centrale. Mentre in tutta Italia con il boom economico si danno vita a periferie squallide, prive di identità, consegnandole alla mera speculazione edilizia, popolatissime prive di ogni genere di servizio, a Bologna si suona un’altra musica. Sempre con il sindaco Dozza partono i piani di edilizia economico popolari, abbreviati nella sigla Peep, capaci di usare al meglio le opportunità offerte dalla legge 167/62. Sono realizzazioni in grado di riscuotere interesse ancora oggi.
il piano di recupero del centro storico
Per esempio, Bologna attua il Peep in pieno centro storico, semplicemente recuperando a una a una le antiche abitazioni, opponendosi così alla tendenza, già allora viva, alla gentrificazione, ossia la sostituzione degli abitanti del centro con abitanti provenienti da ceti via via più ricchi. A Milano, per fare un paragone, pensare di realizzare un piano di edilizia popolare in pieno centro storico è sempre stato taboo. E così in tutte le altre grandi città italiane. La prima pedonalizzazione in assoluto, è partia da Bologna nel biennio 1967/68, contrastata dagli esercenti, a cui si impara a dire no sicuri del risultato soprattutto per loro.
non è come nella Milano di ligresti
I primi a seguire il modello Bologna – spiega Ambrogetti in “Giunte Rosse” – sono le città dell’Emilia Romagna: Modena, Rimini, Reggio Emilia, Ravenna e Ferrara, tutte in grado di creare periferie migliori e più vivibili. Tutte sono dotate di scuole, asili, centri sportivi, un risultato che altre città in altre regioni raggiungeranno col tempo. Negli anni Settanta il Pci entra in crisi col mondo giovanile che produce nuove istanze, anche per le donne, non sembra coglierle in pieno e negli anni Ottanta arriva pure la deregulation di matrice neoliberista, pronta a travolgere anche l’urbanistica in tutta Italia. I privati si riprendono molte delle libertà tipiche degli anni della depredazione immobiliare e della distruzione identitaria a danno degli antichi borghi. Il mostro passa anche in Emilia. Tuttavia l’effetto è più contenuto, gli amministratori sono meno disponibili a concere tutto ai privati, come accade soprattutto a Milano con l’urbanistica contrattata e di cui è grande beneficiario l’imprenditore siciliano Salvatore Ligresti, nonostante la giunta di sinistra Pci-Psi.
indagine su che cosa sia il governo locale
Le altre città delle giunte rosse prese in esame da Ambrogetti sono Amelia, il borgo medievale più grande d’Italia, Arezzo, Imola, Orvieto, Pesaro, Urbania e i due capoluoghi di regione Perugia e Ancona. Sono realtà ognuna delle quali costituisce un capitolo del libro, raccontato da un protagonista di quegli anni in quelle giunte. Tra queste pagine si comprende che cosa vuol dire governare e governare un ente locale. Quali tipo di problemi si devono affrontare spesso senza sapere se si hanno le forze per raggiungere gli obiettivi prefissati. Il Pci in queste zone + ispirato da un profondo valore riformistico. Avrebbe potuto benissimo cambiare nome già negli anni Settanta e chiamarsi partito socialdemocratico, se solo i tempi glielo avessero consentito.
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