Il Vigentino (parte II): alla ricerca di cosa resta dell’antico borgo
La chiesa dell’Assunta si è rivelata uno scrigno protetto di “cimeli” storici quali la gèsa de òmen (la chiesa dedicata agli uomini, forse unica in Italia) e l’affresco sulla Grande Guerra (anni ’20). Le sue frazioni (Castellazzo, Vaiano Valle e Quintosole) sono in rovina, ma si potrebbero recuperare…
Nel Settecento, l’incredibile lavoro per impreziosire la chiesa di Santa Maria dell’Assunta al Vigentino, prosegue con la costruzione di un alto campanile. Continua ancora con la messa a dimora dell’altare centrale in marmi intarsiati, con l’acquisizione di un ricco tesoro di oreficeria sacra. Sempre del Settecento è l’affresco nel battistero, di Giovanni Battista Sassi (1679-1772), pittore formatosi a Napoli nella scuola del grande Francesco Solimena (1657-1747), caso unico di un artista lombardo, nato a Milano, cresciuto come allievo in uno studio partenopeo. Il Sassi lavorò a Lodi, Brescia, Parabiago, Corbetta, Pavia, duomo di Monza, di Milano e anche a Loreto.
“Nel corso dell’Otto e Novecento prosegue l’incremento del patrimonio artistico, rendendo Santa Maria Assunta un complesso quadrisecolare di arte e architettura in massima parte ancora inedito”, scrivono Andrea Spiriti e Laura Facchin, autori del bellissimo volume “Santa Maria Assunta al Vigentino”. Della facciata esiste un disegno del 1895 a firma Alessandro Greppi (1828-1918), conte di Monticello Brianza, autore di un Fondo con numerose opere ritraenti antichi borghi.
Declino di Castellazzo
Castellazzo, nel frattempo, subì vicende disastrose. Intanto fu sciolto dall’autorità napoleonica l’ordine dei girolamini, “accusato” di essere meramente contemplativo (in realtà per confiscargli i beni). Il monastero fu chiuso. L’affresco dell’Ultima Cena, di attribuzione incerta, ma si parla di una seconda copia eseguita da Marco d’Oggiono, fu staccato a portato alla Pinacoteca di Brera, dove rimase qualche anno, indi portato al Cenacolo di Santa Maria delle Grazie proprio di fronte all’originale che, preda di cattivi restauri, era sempre meno visibile. La copia consentiva se non altro di immaginare l’affresco vinciano con i suoi vivi colori. Purtroppo fu distrutta dal bombardamento nel 1943.
Alla fine dell’Ottocento, sulle mappe Castellazzo appariva più piccolo di dimensioni e sotto la dicitura “villa Bellotti”. Probabilmente, il monastero fu utilizzato come cava di mattoni edili e piano piano sparì del tutto. Mentre gli arredi interni, compreso l’altare, sono finiti in varie chiese, oggi del monastero che un tempo ospitava gli arcivescovi di Milano prima di prendere pieno possesso della Diocesi, rimane soltanto il curioso segmento di un rustico, adibito a ristorante. Oggi, il nome è scompaso dalle mappe.
Demolizione della Graffignana e del Graffignanone
Lo storico Riccardo Tammaro riferisce che a cavallo fra l’Otto e il Novecento, “l’insediamento più importante della zona (Castellazzo, ndr) era senz’altro il Graffignanone, demolito completamente nel 2002 dopo lo sfratto delle famiglie che ancora vi abitavano. Prendendo il nome dall’antica cascina Graffignana – prosegue Tammaro – località già riportata sulla carta del Claricio del 1600, il Graffignanone era in realtà un piccolo borgo, quasi un paese, costituito da case di ringhiera, al cui interno si trovavano anche le aule di un asilo e di una scuola elementare (al pianterreno), oltre ad una panetteria. Il suo lato prospiciente la via Antonini (civico 32) era una lunga fila di casette ad uno o due piani, orientate verso sud-est, parallelamente alla via Verro. In esso vivevano 120 famiglie con circa 500 bambini, nel momento di suo massimo sviluppo”.
la curiosa gèsa de òmen
Una fotografia risalente al 1910 (qui accanto) mostra la facciata e il campanile di Santa Maria dell’Assunta davanti a una piazzetta sterrata, attraversata da una roggia con un ponticello. La chiesa ha un aspetto povero, muri scrostati, chiaramente carente di manutenzione, circondata da casupole dai portoncini ad arco, compatibili con l’epoca medievale, dotate di un piano al massimo. È una interessante visione della povertà in cui vivevano borgo e Comune una dozzina d’anni prima dell’aggregazione a Milano.
Lo stesso anno, il parroco Ercole Bertoni volle far costruire, a lato della storica chiesa, la gèsa de òmen, la chiesa degli uomini con accesso diretto all’altare e ingresso separato dalle donne, le quali continuarono a entrare dalla porta principale e a pregare nella navata. Motivo della stravagante decisione? Vigentino negli ultimi 10 anni aveva raddoppiato gli abitanti, passando da 3.244 a 6.637, dati del censimento datato 1911 (nel 1871 erano 2.188) per cui anche il numero dei fedeli era raddoppiato e la chiesa era, come nei secoli precedenti, il punto principale d’incontro fra uomini e donne. Si possono immaginare gli sguardi, i sorrisi, i messaggi, le occhiate fra giovani o fra vedovi/e o fra celibi/nubili lanciati dai banchi di chiesa, fattore di distrazione dalla funzione religiosa, oggetto di frequenti richiami sacerdotali.
L’usanza di “conoscersi in chiesa” fra parrocchiani, praticata anche perché non esistevano altre possibilità se si voleva salvaguardare la reputazione femminile, aveva fatto arrabbiare il cardinale Carlo Borromeo. Costui arrivò al punto di vietare la “promiscuità”, ossia non solo dividere uomini da donne, ma anche installare veri e propri separé lungo le navate in modo da impedire i contatti visivi e gli ammiccamenti. Il parroco Bertoni, evidentemente spaventato dall’aumento demografico e impossibilitato a gestirlo, aveva ripreso una decisione del genere. Curiosamente, è l’unica chiesa di Milano con ingressi separati per genere e probabilmente in Italia. Contemporaneamente, in alcuni locali prospicenti la parrocchia, oggi scomparsi, l’attivisimo parroco Ercole Bertoni aprì l’oratorio, destinato a bimbi e giovani del Vigentino, la cui storia avrà un seguito.
il vecchio municipio scomparso
Il municipio di Vigentino, come mostra una fotografia del 1927 riprodotta qui accanto, era un palazzotto a due piani, essenziale, senza fronzoli. Il disegno è del tutto analogo ad altri municipi dei Comuni che circondavano Milano. Situato in via Ripamonti all’altezza del numero civico 202, purtroppo è andato distrutto durante un bombardamento. Oggi al suo posto c’è una palazzina di recente costruzione. Ospita una stazione dei carabinieri, ma di fronte, all’inizio dell’incrocio con via Noto, rimangono alcuni edifici d’epoca.
Questo punto dell’antica strada provinciale (oggi via Ripamonti), è situato a venti miglia esatte da Pavia, in latino “vigenti”, divenuto “Vigentino”. Poco prima dell’ex sede comunale, uno scorcio della via precedente, che prende il nome di via dell’Assunta, offre un “cannocchiale”. In fondo alla strada appare la facciata rinascimentale-barocca di Santa Maria Assunta al Vigentino, col suo slanciato campanile. È il cuore artistico dell’intera zona, vera gemma incastonata fra palazzi novecenteschi eretti al posto delle antiche abitazioni.
Tra le due guerre
Vigentino è stato l’unico Comune limitrofo a non finanziare, probabilmente per la povertà delle casse municipali, la collocazione di un monumento ai caduti. Eppurene aveva tantissimi, ben 126 in età da lavoro, numero che dovette fare molta impressione in una popolazione di oltre 7mila anime. Le perdite sono analoghe a quelle di tutti i Comuni del circondario milanese, ognuno dei quali deliberò l’erezione di un suo particolare monumenri ai Caduti (tutt’oggi visibili nelle periferie), eccetto, appunto, il Vigentino.
quattro lapidi “mute”
Ci ha pensato la chiesa dell’Assunta a collocare, lungo le pareti esterne, quattro lapidi con i loro nomi, tutt’ora presenti, sebbene i nomi siano ormai cancellati da tempo. All’interno, spicca un interessante affresco dedicato “per grazia ricevuta” a San Gabriele dell’Addolorata, considerato patrono dei giovani. Il dipinto è del 1920, ritrae il Santo (nell’anno in cui fu proclamato tale da Benedetto XV), mentre prega per i soldati. Sotto si apre un terrificante paesaggio di guerra con un soldato in primo piano, in piedi, vivo.
È l’unica immagine della Grande Guerra riprodotta in una comunità periferica, l’unica presente nei territori dei Comuni aggregati nel 1923. L’affresco, molto significativo, ha quasi un secolo ed è impostato come una fotografia. Poiché la grazia ricevuta in questione riguarda proprio i giovani dell’oratorio, forse al Vigentino i frequentatori tornarono in buon numero dai campi di battaglia. Ma per convalidare tale ipotesi occorrerebbe svolgere delle indagini negli archivi.
vicende del campanile, dedicato ai caduti
Nel 1928, il parroco consacra il campanile e le cinque campane di bronzo sempre ai Caduti. A questo punto non più solo a quelli del Vigentino, dal momento che il Comune era passato sotto il territorio di Milano. Durante il secondo conflitto mondiale, le campane di bronzo furono requisite per esigenze belliche (vedi foto a fianco) e ricollocate nuove solo nel 1951. Dopo l’8 settembre 1943, per timore che l’occupante tedesco distruggesse le quattro lapidi sulla facciata con i nomi dei Caduti (non dimentichiamo che durante la Grande Guerra erano nemici), i nomi furono trascritti sulle pareti all’interno e mai più ricollocati fuori. Solo nel 1992 una ristrutturazione della chiesa provvedette a scolpirli su lastre di marmo.
Fine seconda parte – segue terza e ultima parte QUI
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