In guerra, o in crisi, che poi secondo la fenomenologia di Euclide sarebbero la stessa cosa. Il conflitto come principio di tutte le cose in una Milano dalle periferie mai vista prima al cinema o in tv, dove ogni edificio è diverso dall’altro perché nessun architetto ha delineato il disegno di un paesaggio, ha invece realizzato quello che ha voluto nella deregulation più accanita che si possa concepire…
UNA FORMULA INEDITA DI VISIONE Perché “film cineteatrale”? Perché il regista
ha tolto il commento musicale e parlato dalla pellicola
e lo ha esternato in un pianista dal vivo in sala
e una voce narrante, sempre dal vivo in sala.
In guerra è un film di Davide Sibaldi ambientato tra le vie della Milano di notte, “anche se non è importante sapere che è Milano, serviva lo sfondo di una città europea occidentale”. Una lunga passeggiata notturna a passo veloce di due giovani che si occupano di cultura. Non è la città del quadrilatero rassicurante sanbabila-duomo-castello-scala, è un luogo senza paesaggio, un non-luogo con edifici molto diversi, ammassati, o tagliati da grandi spazi vuoti, da arterie che a Milano tutti conoscono per esserci passati in auto tante volte in entrata o uscita, da cui però non sono mai scesi, mai sono penetrati nei quartieri a lato. Straordinario l’uso del colore, effetti cromatici che ricordano la fotografia psichedelica, da pop art degli anni 60-70, i decenni in cui sorsero queste periferie.
Fausto Cabra e Anna Della Rosa
Il film immagina una metropoli oltremodo problematica, dove una sorta di coprifuoco messo in atto da tutte le persone pericolose che tutte insieme a una data ora si riversano per strada originando episodi di piccola e grave violenza. La coppia osa “violare” quel coprifuoco. In guerra, ma anche “in crisi”, nel tentativo di trovare una soluzione capace di rispondere a un’epoca di grandi interrogativi. In questa videointervista al regista Davide Sibaldi e a due attori del film, Fausto Cabra e Fabrizio Martorelli emerge l’indicazione di una generazione che non ha mai conosciuto una guerra vera, ma di fatto, molto pericolosamente, la cerca. Il film ha tutta una sua teoria sulla violenza. Nelle scene c‘è, sì, ma “vera”, quella insegnata sul set da maestri d’arti marziali, non quella altamente spettacolarizzata (e aiutata da effetti speciali) di tanti film americani e francesi; è la violenza che ti manda a terra dopo un pugno, come di solito succede, e non dopo un quarto d’ora di calci e schiaffi volando fra un tetto e l’altro, come se tutti i brutti ceffi incontrati sulla strada fossero professionisti della materia.
Milano, dice Sibaldi, “è sempre stata snobbata dal cinema, come scenografia è vergine al 100% , è quasi “post atomica”, non c’è una ricerca estetica, con tutti quei vuoti e pieni, edifici e spiazzi, in alternanza”. E la periferia non è un luogo pericoloso e negativo per antonomasia, o almeno, dipende da come i personaggi la vedono.
Budget di 6mila euro, quando normalmente per un film del genere ne servono almeno 400 mila (a parte il compenso dei 30 attori, solo per gli effetti speciali il compenso sarebbe stato di 100 mila euro), In guerra è un film altamente sperimentale.
Due vedute notturne della periferia milanese
Mostra una città più pericolosa di quella che obiettivamente è Milano, o una qualsiasi città occidentale, “si tratta di una forzatura divertente, “tarantiniana”, ma anche fiabesca, incute inquietudine ma possiede un fascino grottesco”, dice Martorelli.
“In un periodo di crisi le percezioni sono sempre estreme”, dice Cabra, protagonista insieme ad Anna Della Rosa, “la rabbia a volte scatta per cose giustificate, a volte per “cavolate”, cose non pericolose, la rabbia come stato mentale della crisi deformerà le occasioni, amplifica la crisi, immobilizza”.
Da sinistra: Fabrizio Martorelli e Fausto Cabra, attori e il regista Davide Sibaldi durante la videointervista
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