FUTURO E SVILUPPO SONO NELLE PERIFERIE

 

Il Parco Petrarca (o parco delle Cave) in una Milano d’inverno


Vittorio Gregotti, urbanista e progettista di chiara fama interazionale, qualche mese fa ebbe modo di segnalare una proposta di Renzo Piano: costituire un gruppo di studio intorno ai problemi della periferia della città italiana, utilizzando in questo propositivo il suo ruolo e lo stipendio di senatore a vita (link in fondo pagina). 
 In sostanza, Piano ripropone l’idea di sir Patrick Abercrombie, applicata al Prg di Londra nel dopoguerra, di dotare le città di una cintura verde “sacra e inviolabile”, la Green Belt, dove fermare tutti gli appetiti edilizi. Lo sviluppo e l’ispessimento della fascia verde  è l’unico modo – osserva l’archistar – di combattere realmente gli effetti nocivi dell’inquinamento da traffico e d’invogliare a inforcare le due ruote. Apriamo una parentesi. Il modello della Green Belt di Abercombie è stato applicato per legge a tutte le maggiori città inglesi  e ha fatto scuola in Europa e nel mondo, perfino nei Paesi in via di sviluppo, ma molto poco nell’area mediterranea, nord Italia compreso, dove si è “nordisti” solo quando fa comodo, avendo ovunque adottato lo schema della megalopoli senza limiti.  Le città italiane non si sono dotate nemmeno di un piano del verde, per questo occorre che siano le associazioni ambientaliste, o i consorzi fra enti green, ad occuparsene e a gestire per conto dei Comuni il verde residuo. 
Va anche detto che il nord Europa è stato favorito dalla presenza di grandi fiumi, che ha imposto un ordine alle città e le ha aiutate a conservare le zone verdi-rurali intorno, se non altro per accogliere le esondazioni. Piano indica come indispensabile la presenza e quindi la conservazione di “centri storici” nelle periferie, fondamentali per far partire un qualunque disegno urbano. 
Personalmente, osservo che nelle periferie i centri storici, quando non si tratta di antichi comuni inglobati, non sono altro che le abitazioni rurali spesso malandate e lasciate decadere. E’ a partire da lì che va ricostruita la cintura verde, impedendo alla speculazione edilizia di imporsi da padrona del territorio.  L’idea di Piano piace, è simile all’idea maturata da decine di comitati di quartiere in questi ultimi trent’anni, seguiti alla crisi della città esplosa con la rivoluzione industriale. 

Verso il Parco Nord, Milano


Gregotti nel commentare positivamente l’iniziativa di Piano, mantiene l’idea di una periferia contenitrice di grandi servizi. Io sarei cauto con questa soluzione. I grandi servizi vanno bene se collocati unicamente fra i grandi impianti industriali o ferroviari dismessi, qualora fossero presenti, diversamente sarebbe meglio farne a meno, com’è sempre stato. Poniamo ad esempio il quartiere San Siro di Milano. Il quartiere è “bellissimo”, pieno di verde, strade larghe, caseggiati di dimensioni umane, villini per operai (cosa rarissima in Italia) risalenti agli interventi di Ina casa anni 50, centri di aggregazione sportiva. Tuttavia, è lì che sono stati collocati lo stadio e l’ippodromo, cosa che rende invivibile il quartiere per inquinamento e rumori ogni volta che si corre con i cavalli o si gioca a calcio: nei week-end e spesso la sera, proprio quando si vorrebbe stare un po’ più tranquilli. I servizi sono come l’industria, hanno lo stesso impatto. Avere lo stadio di San Siro a 500-1000 metri da casa, è come avere mezza Fiat appena varcato l’uscio. Più in generale, nelle periferie, enormi centri commerciali  hanno sostituto di fatto la funzione aggregante dei centri storici, i quali, peraltro, a loro volta non vivono senza ricoprire un ruolo commerciare di pregio, “firmato”, a loro volta. Tali centri commerciali sono tuttavia ancora poveri di cultura, andrebbero integrati con spazi dedicati al sapere collettivo, iniziando magari dalle lezioni di cucina e di giardinaggio, per terminare con le conferenze. Nei centri commerciali sono già arrivati i cinema, occorre che arrivino anche il teatro e i laboratori teatrali. In generale, a differenza dei centri storici, ormai strutturati dai secoli, in periferie c’è più spazio per creare, reinventare l’abitazione, renderla sempre più confortevole ed ecocompatibile. Comunque, nulla di buono di si può fare se agli enti pubblici si continuerà a negare il diritto all’esproprio con indennizzo minimo, il solo modo di mettere in discussione l’intera prassi della speculazione sul territorio. La proprietà privata sarà anche sacra, ma non può esserlo più dell’uomo o della natura.  

Il modello della Green Belt (cintura verde urbana) di Abercombie è stato applicato per legge a tutte le maggiori città inglesi, ha fatto scuola in Europa e nel mondo





Fonti: 

Vittorio Gregotti 
http://www.corriere.it/opinioni/14_aprile_08/dare-speranza-periferie-urbane-2afe48b4-bef9-11e3-9575-baed47a7b816.shtml

Renzo Piano 
http://www.architetto-contemporaneo.it/dove-larchitettura/piano-con-le-periferie). 

Patrick Abercombie urbanista a Londra 
http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:nBEJgQ1wwUgJ:geomatica.como.polimi.it/corsi/urbanistica/dispense_07/abercrombie.doc+&cd=6&hl=it&ct=clnk&gl=it

Urbanistica del verde
ftp://pc30.architettura.unirc.it/Pultrone/Fondamenti%20di%20urbanistica/LEZIONI%20Fond_Urbanistica%20PDF/7-L’urbanistica%20razionalista.pdf 












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