MARIO SCARPETTA E IL TEATRO NAPOLETANO
NEL GRANDE SOLCO DEL TEATRO PARTENOPEO
Prima di Mario Scarpetta, il grande attore napoletano scomparso nel 2004 a soli 51 anni, il teatro “di famiglia”, scarpettiano, era rappresentato di fatto solo da Eduardo De Filippo (1900-1984). Capostipiti di quel teatro, che riprende la vaudeville o la pochade francesi, sono Eduardo Scarpetta (1853-1925) e, in misura minore, Vincenzo Scarpetta (1877-1952). Che poi sono, rispettivamente, il bisnonno e il nonno di Mario. Nonno mai conosciuto, peraltro, per ragioni anagrafiche. Quando, a metà degli anni Settanta, il futuro senatore a vita, in odore di Nobel, iniziò a concentrarsi sulle proprie commedie, l’eredità fu assunta da Mario. Allora appena 26enne! Mario era già maturo per questo tipo di teatro, impostato su una grande complessità organizzativa e un modo di recitare affatto ad hoc, calato in parti speciali. Dove ogni personaggio deve essere caratterizzato al pari di una maschera del teatro dell’arte. E deve rimanere memorabile. Richiede, cioè, una grande capacità interpretativa, una “scuola” apposita tutta partenopea.
Ne risente la commedia scarpettiana
Con la scomparsa di Mario Scarpetta, la commedia scarpettiana non è quasi più rappresentata. Non allo stesso livello, almeno. La perdita è doppia. La prematura assenza dalla scena è ancora oggi un danno per Napoli. Avvenne proprio quando il suo lavoro iniziava a essere apprezzato anche al Nord, dove certi autori erano visti con sufficienza, non erano capiti. In questa videointervista a più voci, Giulio Baffi critico di Repubblica, spiega che inizialmente il teatro di Scarpetta non era compreso. “Guardavamo con sospetto o addirittura con sufficienza a un teatro che definivamo “leggero”, si cercava qualcosa di più impegnato, inquietante, complesso e difficile”, dice Baffi. “Nella riproposizione del repertorio scarpettiano, Mario fu determinante, lo ha rinnovato e rilanciato nella forma più corretta possibile”. Per il suo produttore, Gianni Pinto, è ora difficile trovare un simile interprete. “Mario fu il prodotto di un’esperienza forse irripetibile, per questo il suo lavoro deve essere oggi considerato unico e prezioso”, dice Pinto.
DOPPIA FUNZIONE DI ATTORE E REGISTA
È merito dei De Filippo e di Mario Scarpetta se è stata tenuta alta la tradizione scarpettiana. E se si verifica un’inversione di rotta rispetto a un mondo che sembrava chiedere altro e considerava il testo comico una sottocategoria. Nel teatro scarpettiano non è importante la storia, la trama, l’intreccio degli episodi. Conta la caratterizzazione dei personaggi, la recitazione e l’inventiva con cui si riveste un ruolo o si allestisce una scena. E si misura l’impegno degli attori nel delineare dei tipi umani in un insieme ironico, paradossale, grottesco. Il teatro comico, segnatamente quello napoletano, comporta un grande lavoro individuale e collettivo. Ebbene, a Mario Scarpetta riusciva particolarmente bene nella doppia funzione di attore e regista, già maturo a 26 anni. Grazie, ovviamente, alla “scuola” decennale che gli è derivata dal recitare, fin da bambino i testi scarpettiani accanto a Eduardo e Peppino De Filippo. Questi ultimi avevano conosciuto bene il capostipite,. Era il loro padre naturale, possedevano le chiavi giuste per interpretarne i testi. Poi a Mario trasmesse, appunto.
Questo video è il secondo sull’ambiente scarpettiano. Il primo parla del palazzo fatto costruire da Eduardo, il capostipite, vicino a piazza Amedeo. Questo secondo vuole giustappunto ricordare il suo ruolo fondamentale nel riproporre, alle soglie del XXI secolo, l’intramontabile repertorio scarpettiano. Quello che resta comunque a tutt’oggi di gran lunga la maggiore scuola comica del teatro italiano contemporaneo. L’unico dove ci ritrovi ancora il teatro dell’arte.
Link del video: https://www.youtube.com/watch?v=ktBIk2hUjp8
I testimoni intervistati
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