NELLA PARROCCHIA SECOLARE IL “FILM” DEL BORGO ANTICO
Per rintracciare testimonianze di vita passata nelle antiche abitazioni rurali milanesi non c’è che una strada: leggere i resoconti dei parroci. Lo spiega Roberto Gariboldi nel suo nuovo libro, dove racconta la storia di Garegnano attraverso i documenti scritti di pugno da preti e notai
La parrocchia di quartiere (o di paese, o di borgo), in specie se storiche, è fortunata. In passato, le parrocchie ebbero un’importante prerogativa: registrare gli avvenimenti. Per quanto apparentemente piccoli e di scarsa importanza, essi rendono possibile tracciare gli accadimenti propri. Raccontano del contesto economico e spesso artistico fin dalla loro nascita. Il parroco, in specie da quando è tenuto a scrivere il libro delle cronache parrocchiali e il registro delle anime, segnando nascite e decessi, ossia sostanzialmente dalla Controriforma, è un “regista” chiave. Quasi sempre è l’unica figura colta dell’area in cui vive. il solo tenuto a prendere carta e penna registrando gli accadimenti del mondo di cui è testimone, sentendosi responsabile della memoria dei suoi parrocchiani.
Una figura universale
Queste cose le sa molto bene e le divulga Roberto Gariboldi, autore e ricercatore di antichi boghi milanesi di cui ci siamo già occupati (vedi QUI). Ora ha pubblicato un libro eccezionalmente ricco ed esemplare nel contenuto, sulla parrocchia di Garegnano. Oggi è inserita nel tessuto urbano, ma era rimasta un borgo isolato nella campagna per quasi un millennio. Per tutto questo tempo, il massimo dei residenti non ha quasi mai superato, o superato di poco, le 4-500 anime, giungendo a 614 al momento dell’Unità d’Italia. La pubblicazione di Gariboldi s’intitola “Per il bene e il vantaggio delle anime – Storia della parrocchia di Santa Maria Assunta in Certosa (1)“, ed è contemporaneamente cronaca di quel punto geografico del territorio milanese e dei suo mondo ormai perduto.
La prima sede
La parrocchia di Garegnano nel 1771 comprendeva le 26 anime di Garegnano Corbellaro, sede della certosa con cascina Pobbia e Molino, e le 115 di Garegnano Marcido, sede del borgo rurale e delle cascine Torchiera più altre, le 51 di Boldinasco. Ha avuto due sedi. Una prima sede nella vicina Garegnano Marcido, in un oratorio di cui si ha documentazione fin dal 1288, facente parte della Pieve di Trenno insieme ad altre 20 chiese dipendenti e più lontane. La Pieve di Trenno si estendeva fino ad Arese, comprendeva decine di borghi, come Figino, San Siro, Musocco. Non possedendo in un primo tempo il rango di parrocchia, non vi si potevano celebrare le cerimonie più importatnti, come matrimoni, battesimi, estreme unzioni. I residenti potevano solo confessarsi, comunicarsi e sentire messa. Nel 1369, i terreni di Garegnano, giungenti fino a Quarto Oggiaro e cascina Triulza (oggi nell’area Expo) furono regalati dal proprietario, Gian Galezzo Visconti, signore di Milano, ai monaci certosini affinché vi costruissero la loro certosa (2). La certosa fu eretta a meno di un chilometro dalla parrocchia già esistente, località Garegnano Corbellaro. La funzione della vecchia chiesa era assistere gli abitanti del borgo; la certosa, invece, era luogo sacro dedicato esclusivamente ai monaci, nessun’altro poteva entrare, salvo nello spazio concesso per nutrire i poveri e far riposare i viandanti.
La seconda sede
Grazie alle cronache notarili del tempo, veniamo a sapere che i residenti chiedevano la “promozione” della chiesa in parrocchia, stanchi di dover percorrere, ogni volta ne avessero necessità, quei quattro chilometri che li separavano da Trenno, cosa che effettiamente ottennero nel 1570 grazie all’interessamento del cardinale Carlo Borromeo e nonostante l’opposizione curiale. Anzi, il prelato concesse ai capifamiglia di Garegnano il diritto di eleggere il loro parroco, scegliendo fra diversi sacerdoti.
Tutto questo durò fino al 1782, quando Giuseppe II d’Austria decise di sopprimere gli enti religiosi contemplativi per impossessarsi dei beni, venderli e rimpinguare le casse dello Stato svuotate dalla continue guerre. Cacciati i monaci certosini, per la certosa inizia un periodo di lunghissima rovina, al termine del quale è rimasta soltanto la struttura dimezzata che si vede oggi. Solo la chiesa della certosa, con i suoi meravigliosi affreschi di grandi maestri di scuola lombarda, riesce a salvarsi, diventando essa stessa la nuova parrocchia dei residenti di Garegnano in luogo dell’edificio risalente al 1288.
Dov’era la vecchia parrocchia
Il tempio “bracciantile” di Garegnano Marcido non esiste più da due secoli, smantellato dagli stessi austriaci per ricavare dalla vendita dei laterizi quanto si poteva. Si trovava più o meno nell’attuale incrocio fra via Barnaba Oriani (il celebre astronomo era nato qui) e via Mario Pannunzio, dove c’è un’edicola commemorativa contenente un dipinto della Madonna con Bambino, nonostante l’edificio di culto fosse dedicato ai santi martiri Ippolito e Cassiano. Alle spalle dell’edicola, si estende l’area di una nota rivendita di auto, la Koelliker. Su questo terreno sorgevano la chiesa del 1288, lunga una ventina di metri e larga sei, e l’attiguo cimitero, anch’esso scomparso.
inizia una lunga fase di degrado
Gariboldi ci porta per mano attraverso le carte ritrovate negli archivi, o diocesani o di Stato. Scopriamo così che gli austriaci destinarono quasi subito il quadrato del grande chiostro con le celle monacali (chiamate da loro “i casini”), a deposito di armi e polveriera. Ovviamente, senza tenere in alcun conto l’importanza artistica del luogo. Nel 1794 il chiostro grande era talmente in pessime condizioni che non fu nemmeno più utilizzato come deposito d’armi e polveriera. Oltretutto le celle dei monaci erano così umide da sconsigliare di utilizzarle allo scopo. Il processo di degrado continuò nei decenni successivi, anche con la dominazione francese. Negli anni ’20 dell’Ottocento tutta la certosa si era ammalorata: dipinti, pavimenti di marmo, finestre, tetto, pareti risentivano della scarsa manutenzione. Mancava il campanile, indispensabile in quei tempi, mentre l’antico altare in legno era tarlato e cadeva a pezzi.
lotta alla burocrazia austriaca
Simili tristi condizioni, indussero il parroco a scrivere al Governo austriaco, richiamandolo alle sue responsabilità nel ricordare quanto la chiesa avesse grande valore artistico e la sua proprietà fosse giusto dello Stato. I contadini, spiega, erano in condizioni troppo misere per provvedere di tasca propria. Erano decisamente lontani i tempi in cui i terreni il cui sfruttamento consentiva ai monaci di provvedere alla manutenzione della certosa e ai loro contadini di sopravvivere dignitosamente. La vendita dei terreni ai privati, in genere di origine nobiliare, aveva sconbussolato l’organizzazione del lavoro e fortemente impoverito la popolazione. Come al solito, passarono degli anni prima che Vienna prendesse in considerazione la lettera. Finalmente, il provvedimento di spesa fu approvato, prima a Milano, poi a Vienna, una trafila comportante lungaggini burocratiche di due, tre, quattro anni. Ma alla fine degli anni ’30 i restauri furono fatti (al risparmio), il campanile costruito e il pavimento aggiustato.
PARROCcchia e utilità PUBBLICA
Per secoli i parroci sono stati punto di riferimento sia delle autorità, sia della gente comune. Il parroco registrava puntualmente le nascite e le morti e per molti tempo nella cristianità fu l’unico a farlo. I poteri pubblici gli affidavano gli avvisi alla popolazione, da leggere in chiesa, dove la domenica si recavano regolarmente tutti. Tra questi, erano comprese le norme sanitarie da seguire in caso di epidemia, gicché il colera non aveva cessato di spopolare periodicamente.
Avevano una funzione nel mantenimento dell’ordine pubblico, infatti veniva loro chiesto di segnalare i tipi turbolenti o sospetti per contrastare i fenomeni di delinquenza e banditismo. Insegnavano nelle scuole di campagna. Sovente erano gli unici a farlo quando il governo austriaco nel 1816 emanò un decreto modernissimo sulla scuola dell’obbligo per i primi due anni, più altri due in città. Si occupava lui di bimbi abbandonati, a volte semplicemente consegnandoli alla Ruota della Pia Casa situata dove oggi c’è il Policlinico di via Francesco Sforza. La Pia Casa ancora a metà Ottocento riceveva circa ben 5mila bambini abbandonati l’anno.
Dotati di pragmatismo, durante il Risorgimento si sono avuti anche preti patrioti. Ecco quindi che per un arco di tempo molto lungo hanno tramandato notizie del territorio per noi oggi preziose. Diversamente, privo di notizie, quest’ultimo resterebbe del tutto anonimo, senza storia, senza protagonisti, in una parola: sconosciuto, disperso nel nulla.
Note
(1) In vendita a 15 Euro nella chiesa stessa di via Garegnano,
(2) La ricostruzione di questa affascinante storia è nel mio “Milano, il patrimonio dimenticato” ed. Magenes, vol. I.
Pubblicato il 14 agosto 2022
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