NAPOLI 27-30 SETTEMBRE 1943, IN EUROPA LA PRIMA RIVOLTA POPOLARE CHE CACCIA I NAZIFASCISTI

 

 

Partigiani napoletani, settembre 1943 

Durante l’occupazione nazista, da Napoli non fu mai prelevato un solo ebreo: fascisti e nazisti non fecero nemmeno in tempo a organizzarsi. Le persone di fede giudaica erano tutte nascoste nei celeberrimi sotterranei della città e protette dalla popolazione. Non vi fu alcuna delazione. Anche il numero dei deportati napoletani ai lavori forzati in Germania fu relativamente molto basso, circa 4000 infelici, quando ne erano previsti 30 mila. A questi risultati si giunse tramite una lotta di popolo esemplare, durata tutto il settembre del 1943, sebbene molto poco celebrata, anzi, ricordata quasi con vergogna.  Invece, è uno splendido primato assoluto di Napoli. 
A differenza del resto del Paese, quando ancora al Nord si dormiva nelle calde notti, la rivolta dei cittadini napoletani iniziò immediatamente dopo l’8 settembre del 1943; già il 9 settembre, mentre a Roma la famiglia reale se la dava a gambe levate,  ci sono importanti interventi contro le pattuglie tedesche, sia da parte di cittadini, sia da parte di poliziotti e soldati. Il primo scontro cruento a Napoli avvenne il 10, con morti e feriti. Il 12 settembre i morti erano già molte decine, il colonnello Walter Scholl era costretto a pubblicare un proclama durissimo e a dichiarare lo stato d’assedio con l’ordine di uccidere 100 (cento!) napoletani per ogni tedesco morto. Non riuscirà mai ad attuare il proposito. 

Il proclama di Schloss


 In quei giorni, in nessun’altra importante città italiana vi fu uno scontro così aspro e immediato contro i tedeschi, eccetto Roma, dove però la reazione fu solo militare e non vi fu, come a Napoli, una sollevazione popolare.  Per questa ragione la ben più disorganizzata resistenza romana si votò presto al fallimento, mentre quella napoletana ebbe rapido successo.
Il 21 settembre si sollevò Matera, prima città italiana (ed europea, allora aveva 25 mila abitanti) a buttare fuori i tedeschi con le armi in pugno. Ma il 27 settembre, mentre Kappler convoca i capi rabbini di Roma per  intimare loro la consegna immediata di 50 chilogrammi d’oro, dando via alle persecuzioni e ai rastrellamenti di centinaia di ebrei, fu la volta di Napoli, prima grande città europea, a sollevarsi, con ogni mezzo, contro gli occupanti. Per quattro giorni, fino al 30 settembre 1943, fu un crescendo di attacchi alle forze militari tedesche e di partecipazione dei civili alle azioni. Le forze alleate non erano lontane e i tedeschi avevano già iniziato lo sgombero della città. Perché allora non limitarsi ad attendere? 

I napoletani, più ancora dell’esercito, si sollevarono per evitare fucilazioni, distruzioni e soprattutto, deportazioni di massa ai lavori in Germania. Non a caso la ribellione iniziò dopo le prime 4 mila deportazioni ottenute con la forza in vari quartieri. Napoli è la città che più si è ribellata  ai rastrellamenti, li ha letteralmente impediti fisicamente liberando decine di giovani, destinati al lavoro forzato, dalle caserme dove erano rinchiusi e  dai camion tedeschi, affrontati anche a mani nude,  senz’armi. Oltre ai militari badogliani, si distinsero operai e  donne, “scugnizzi” e professori, medici, vigili del fuoco, “goliardi”,  gli immancabili disoccupati e perfino i preti. 
I napoletani del 1943 hanno insegnato agli italiani (non solo a loro) come si combattono i tedeschi occupanti quando ancora i connazionali nemmeno ci pensavano a sollevarsi. Lo ha espressamente riconosciuto un capo partigiano come Luigi Longo. Va anche sottolineato che essi rappresentato un primo esempio, o uno dei primi al mondo, di difesa sociale non violenta, quella che sarà attuata da Gandhi contro gli inglesi; infatti, fra le strade partenopee furono spontaneamente e largamente utilizzate “armi civili” come  la non-collaborazione, il boicottaggio, il sabotaggio, l’antimilitarismo, la riorganizzazione della vita civile attorno a valori umani e famigliari, virtù grazie alle quali un’intera città seppe liberarsi da sola dal giogo nazista (ben peggiore di quello inglese). La gran parte dei combattimenti si ebbero esclusivamente tra italiani e tedeschi, pochi i fascisti coinvolti, perché non ebbero nemmeno il tempo di riorganizzarsi dopo l’8 settembre. La repubblichina di Salò, proclamata da Mussolini il 23 settembre, a Napoli non ebbe un solo giorno di respiro. 
In specie negli ultimi anni sono aumentare le voci di coloro, soprattutto nostalgici fascisti o dilettanti di storia legati alla destra, che mettono in dubbio l’autentico magistrale eroismo dimostrato dalla città, diminuendo sistematicamente la portata degli avvenimenti e ridicolizzando il comportamento dei circa 1600 partigiani partenopei ufficialmente armati e riconosciuti. Più della loro falsa testimonianza, valga la ricostruzione che ne ha fatto Nanni Loy con il film “Le quattro giornate di Napoli” nel 1962, uno degli omaggi più belli del cinema a Napoli e alla lotta partigiana in assoluto. Egli per realizzarlo si avvalse della collaborazione e delle ricerche di grandi  scrittori come Vasco Pratolini e Carlo Bernari, dello sceneggiatore Massimo Franciosa, dello stesso Loy e del soggettista Pasquale Festa Campanile, autori che, se è consentito dirlo, rappresentano molto più autorevolmente di storici improvvisati una fedele ricostruzione dei fatti. 

Camion di militari italiani durante le quattro giornate



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