Darsena, perché è un restauro sbagliato

Una veduta della Milano classica con dehor e “cubo magico”


Bella, vero? Certo, i gusti sono soggettivi ma, obiettivamente, questa Darsena vi ricorda un porto fluviale del XVII secolo? Il più importante d’Europa, il terzo in assoluto, come si sostiene, d’Italia? Il porto da cui è rinata Milano dopo i bombardamenti devastanti dell’ultima guerra? Un recupero che a prima vista è sì godibile da vedere, ma che non insegna nulla, non dice niente, un intervento sbagliato, diseducativo, di una banalità senza uguali.  Per la Darsena  è mancato il coraggio di un sindaco, che avrebbe dovuto prendere del tempo, consentire alle istituzioni culturali di studiare un recupero filologico-archeologico corretto, fatto con scienza, coscienza e orgoglio, fottendosene dei tempi dell’Expo per non dover dare alla città un’opera esteticamente e metodologicamente errata. Irriconoscibile rispetto al passato anche recente, mostrato dalle fotografie d’epoca, peraltro molto apprezzate dai milanesi.

L’operazione è stata affrontata con miopia tutta piccolo borghese: ha prevalso l’ansia della “bella figura” a ogni costo, con l’Expo alle porte, del consenso immediato e facile, quando bastava fare del cantiere stesso un luogo contemplabile, una scuola a cielo aperto del corretto recupero, portarci la gente e raccontare come si possa rivisitare qualcosa di unico,  ritornare per un momento al “com’era” prima dei cambiamenti imposti dal tempo, aprire uno scorcio pensato in profondità, tramite un lavoro degno della tecnologia marchiata XXI secolo. Così si era agito con i restauri del Cenacolo. I milanesi avrebbero capito e alla fine sarebbero stati più contenti di mostrare al mondo un ripristino eseguito a regola d’arte,  citabile nei manuali d’architettura, dopotutto si tratta del porto fluviale più importante d’Europa.  Per la Darsena occorreva una soluzione esemplare analoga a quella adottata dalla Soprintendenza del Mibac per il vicinissimo Parco Archeologico dell’Arena.  Si sarebbe creata una vasta area monumentale di immenso valore culturale comprendente le Colonne di San Lorenzo, il Parco delle Basiliche, i resti, il giardino e il museo dell’Arena, la Conca del Naviglio, Darsena e i Navigli.PARCO

PARCO 2

Due angoli del Parco Archeologico dell’Arena

Invece si è preferito snobbare la storia della città con un intervento sbrigativo, un look assurdo, non all’altezza delle sue istituzioni culturali; il sindaco Giuliano Pisapia, che era stato eletto per farla finita con la gestione autistica e sbrigativa della Moratti, ha invece applicato i suoi stessi criteri, ha meramente attuato, alla lettera, il progetto di recupero pensato per la Darsena dal sindaco precedente senza nemmeno rivederlo e senza consultare nessuno; è passato all’azione producendo un autentico obbrobrio, anche se ai più  “si presenta bene”. Un restyling da ignoranti, si potrebbe dire. Peccato, un’occasione perduta per la città e per la sinistra di governo. 

La Darsena, è evidente, non sarà mai più il porto fluviale di prima, siamo nel XXI e non nel XVII secolo, ma adesso che cos’è?, se non è più nemmeno un porto storico, che roba è?  Un nuovo luogo di “struscio”.

I resti delle mura spagnole (XVII secolo) lungo
via G. D’Annunzio sono stati interrati dopo i recenti lavori
di scavo che li avevano fatti riemergere. 

Niente spazio archeologico

Era la destinazione più idonea? Per una delle zone monumentali più importanti di Milano andava studiata una soluzione innanzi tutto archeologica, da passeggiata storica, più consona al paesaggio stendhaliano, a cui invece è stato inferto un duro colpo, un museo aperto in modo che l’antico porto fosse riconoscibile almeno nelle tracce in muratura, purtroppo sotterrate da questo sciagurato intervento. I pasticci più gravi sono i cosiddetti “punti di ristoro”, i dehor galleggianti, la muratura da esselunga, soprattutto il mercato con il  vicolo interno costruiti ex novo restringendo il bacino d’acqua, cose che non ci sono mai state, prive di senso, siamo già in una zona altamente commerciale. Il vecchio mercato rionale era stato costruito negli anni 40 per rimediare alla mancanza di spazi in un quartiere pesantemente bombardato, ma adesso che significato ha una costruzione così insignificante, all’interno di un’area storico-monumentale? Nulla è stato pensato, tanto meno offerto alla discussione e alla cultura della città, in modo che potesse esprimere una soluzione congrua all’importanza storica del posto.  

Un intervento sugli errori commessi nel recupero è in questa videointervista a Gianni Beltrame, uno dei massimi esperti del sistema dei Navigli, già direttore del Contro studi per la Programmazione metropolitana:  http://cielosumilano.blogspot.it/2014/11/nuova-darsena-intervento-incongruo.html 

La Darsena di oggi ha cancellato ogni epoca

Qui ribatto alle varie obiezioni che ho ricevuto al precedente articolo.
D’accordo sul fatto che la Darsena doveva essere recuperata prima possibile alla frequentazione, ma era necessario questo massacro storico, urbanistico e culturale di uno dei monumenti maggiori, tra l’altro unico (un importante, secolare porto fluviale!), di Milano? C’è modo e modo di incoraggiare l’aggregazione, quello prescelto è il classico “struscio”. Niente da dire, ma è stato studiato un altro modus vivendi per un posto così particolare? No. È stata coinvolta la città per capire che cosa voleva? No. Nemmeno il consiglio comunale è stato interessato al progetto, non ha potuto vederlo, il consiglio di zona non ne parliamo. Le università e le scuole? Macché. Tutte le più importanti istituzioni saltate a piedi uniti.
Si è solo indetto un appalto dove gli architetti vincitori hanno proceduto in base alle indicazioni di non si sa chi (probabilmente gli architetti di turno all’ufficio tecnico), al badget di Expo e all’incasso (pende pure un’inchiesta della magistratura). Nemmeno i materiali da usare sono stati oggetto di uno studio, di un criterio, di un dibattito scientifico. Non era necessario il dibattito? E chi l’ha stabilito? Fuori i nomi di chi l’ha deciso.
Non è vero che il mercato c’era da secoli, questo è falsissimo, pura invenzione. Non c’è mai stato prima del 1946 o 47, era stato costruito dopo che il quartiere fu pesantemente bombardato, oggi l’intero quartiere presenta un’enorme scelta commerciale, il nuovo mercato in hight tech verde che addirittura restringe il bacino è una ridondanza stupida. Sarei curioso di sapere chi ha deciso di operare un intervento così incisivo, così strutturale. Il mercato rionale era collocato fuori dalla Darsena, che è area monumentale, non dimentichiamolo mai, vicino all’archeologia industriale più risalente le varie epoche. Non confondiamo la contrattazione mercantile e o commerciale che poteva esserci in zona con il centro commerciale vero e proprio, area coperta e affittata (o venduta); un mercato è una cosa seria, un luogo concreto. Questo oltretutto si è preso uno spazio invadente del tutto fuori misura e contesto, uno schiaffo alla storia del luogo; è stato raddoppiato il mercato rionale precedente, è stata costruita una via che non c’è mai stata: esattamente gli elementi che rendono illeggibile il posto, la riconoscibilità anche rispetto alle fotografie d’epoca, è stata letteralmente spazzata via. Chi l’ha deciso vorrei saperlo.
Questa ristrutturazione non insegna nulla ai cittadini, non educa. E’ diventato l’ennesimo spazio commerciale/isola di struscio, si è ripetuto l’uso distorto già lamentato per le Colonne di San Lorenzo, frequentate da tanta gente che non sa dove si trova. Il ripristino della Darsena non avrebbe meritato una maggiore attenzione culturale, anche nel senso di un recupero filologico-archeologico? Una svolta orgogliosa? Chi ha stabilito, invece, che le fondamenta delle mura spagnole stanno bene invisibili sotto un lastrone di pietre? chi ha deciso per conto dei milanesi che sono inutili e che la gente non le debba vedere? I milanesi debbono sottostare al parere di coloro che nulla apprezzano e capiscono di archeologia?
Per quanto tempo ancora dovremo sopportare questo funzionalismo becero che ha già devastato intere aree della città, dalla copertura dei navigli all’abbattimento di mura e bastioni, cancellando i Corpi santi (le attuali periferie) e la civiltà rurale, tutta classificata “archeologia minore”, che se non sono cattedrali o colonne del Partenone non la vogliamo vedere e non ce ne frega nulla? La fretta del restauro ha prodotto un non senso urbanistico. non l’unico di Milano.

 




Ci sono 8 commenti

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  1. Susanna

    Non sai quanto condivido. Quando l’ho vista mi è venuto da piangere, mentre le amiche mi dicevano che ero matta e che ora si poteva passeggiare. Era uno dei miei posti preferiti, adesso se ci passo sto male. Grazie per l’articolo, mi sento meno sola.

  2. andrea

    La rivoluzione gentil arancione purtroppo è stata una delusione. Si sarebbe potuto fare un restauro conservativo dei resti delle mura spagnole, coprirle con del vetro e illuminarle la notte…

  3. Giuseppe Vasta

    Il progetto Albertini-Moratti era un orrore, quello di Pisapia è giusto meno orrendo (gli architetti sono sempre gli stessi) ma non è bello.
    Il mercato comunale è troppo alto, mal distribuito, troppo centrale (era meglio dov’era prima), la linea del tram 29 taglia in due la piazza è allontana da corso San Gottardo: insomma era meglio un tempo, bastava qualche ritocco qua e là e andava bene. Ma hanno preferito buttare via i soldi. Comunque accontentiamoci, meglio così che l’abbandono. Ma non è un bell’intervento.

  4. paolo vecchiettini

    Credevo di essere un “GUFO” ante litteram, ma vedo che non sono solo. E che dire del “ricamo” (termine usato da Piano) della spalmatura di cemento sugli argini dei navigli leonardeschi?
    “Dal cucchiaio alla città”, ovvero “Dal badile all’hashtag elettorale” .

    • Roberto Schena

      E’ vero anch’io trovo che sia un bellissimo murales, ma sai bene che non può piacere a tutti. Se non altro, l’idea di riempire quei muri degni dell’esselunga con interventi artistici è da prendere in cosniderazione


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