A MATILDE SERAO IL NOBEL… PER “OMOFOBIA ISTERICA”

Fondatrice del quotidiano il Mattino, di Napoli, passa per essere stata una grande scrittrice-giornalista. In realtà è autrice delle più violente espressioni sessite  mai scritte nella storia della letteratura italiana. Qui sotto riportiamo il testo di un suo articolo contro Oscar Wilde

Una breve premessa

La feroce omofobia di Matilde Serao (1856-1927) è un particolare che osannanti riassunti biografici riguardanti la scrittrice omettono sistematicamente e volentieri, preferendo concentrasi sul suo preteso femminismo ante litteram. Molto insistente, da parte dei suoi sostenitori, il paragone con Grazia Deledda (1871-1936), che avrebbe vinto il premio Nobel nel 1927 al posto suo solo grazie a un veto opposto dal Capo del Governo Benito Mussolini. In realtà, se mai veto vi fu, aveva qualche fondamento, sia perché la Deledda è scrittrice e poetessa migliore, sia per l’esasperato moralismo vittoriano caratterizzante la personalità della “protofemminista”.

In verità, di protofemmista Matilde Serao non aveva nulla. Firmò il Manifesto degli Intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce, ma scrisse sempre, per tutta la vita, giovane o anziana che fose, contro il voto femminile, contro l’impegno politico e contro il divorzio. Il 21 maggio 1880, a 24 anni, ad Anna Maria Mozzoni, una protofemminista vera, autentica, impegnata nel rivendicare un nuovo ruolo della donna, con queste parole: «Per quello che riguarda la donna e la politica non posso discutere con lei, pregiata signora. Se me lo concede, io sono un’artista. Naturalmente democratici, repubblicani, emancipatori, socialisti, umanitarii, signori e signore non sono artisti. Ditalché mi trovo costretta a dirle che quella certa specie di donna che è l’ideale delle sue teorie, è da noi (artisti, ndr) assolutamente respinta, come una figura rigida, dura, senza alcuna poesia. Anzi, per riunire tutti questi aggettivi, noi la respingiamo come antiestetica. Per la vita, per l’amore, per l’arte ci vuole la donna. Istruita, ma donna. Maestra del popolo, infermiera, scrittrice, educatrice, ma donna. Niente diritti politici, niente ingerenze elettorali, niente attribuzioni maschili, niente professioni impossibili». Mantenne queste posizioni per tutta la vita.

Sebbene le vada riconosciuto di essersi occupata degli universi umani più poveri, abbandonati, sfruttati, annota la studiosa Nadia Verdile, la Serao rimane sempre moderata, monarchica, borghese; vedrà sempre la donna unicamente legata alla famiglia e subordinata alla morale corrente (Vedi l’articolo QUI). All’età di 41 anni, nel settembre 1897 saputo che lo scrittore Oscar Wilde (1854-1900), appena uscito dal famigerato carcere di Reading, era approdato a Napoli sotto falso nome, prese carta e penna per scriverne scandalizzata. Nascosta sotto lo pseudonimo di Gibbus, chiese esplicitamente il suo allontanamento in un articolo intitolato “C’è o non c’è”, pubbblicato dalle colonne del quotidiano che aveva fondato nel 1892, il Mattino di Napoli. Non solo. Elogiò i giudici inglesi che lo avevano condannato a due anni di carcere per omosessualità, commentando che sarebbe stato meglio non farlo uscire di galera. L’articolo è pieno di improperi nei riguardi del maggiore scrittore dell’Ottocento inglese, un milione di volte più bravo, ma lei immodestamente lo ignora e lo chiama ora “seccatore”, ora “flagello wildiano”, ora ironicamente “esteta britannico”. L’articolo è riportato qui sotto per intero.

Non è solo una generica riprovazione per la condizione di omosessuale che, dati i tempi e gli stessi limiti mentali della Serao, potrebbe essere giustificata, ma un vero e proprio manifesto d’intolletanza, con richiesta di carcere per gli omosessuali, allontanamento dalla società per gli stessi, definiti da lei “odiosamente pervertiti”. “Io protesto in nome della gente per bene”, afferma senza un briciolo di considerazione nei confronti di un grande scrittore che ha subito due anni di carcere in omaggio al becero moralismo vittoriano, che lei invece esalta, omaggiando la regina Vittoria chiamata  “S. M. gloriosissima”.

Un vero e proprio attacco isterico che si estende al compagno di Oscar, il “complice di Wilde, quel giovane lord Douglas che porta così poco decorosamente il nome di una delle maggiori famiglie storiche della Gran Bretagna”. E a questa signora, promotrice spietata di persecuzione contro Oscar Wilde, anticipatrice del trattamento nazifascista instaurato contro gli omosessuali, che acritici esaltatori vorrebbero le fosse stato assegnato il premio Nobel per la Letteratura al posto di Grazia Deledda. Incapace di cogliere e interpretare le istanze civili dei suoi tempi, anzi opponendosi addirittura alle richieste di liberazione sbandierando un concetto alquanto provinciale  di che cosa sia un artista, la Serao non era in grado di rappresentare il meglio dei tempi e della letteratura italiana o europea, presupposto per l’assegnazione di un premio Nobel.

L’omofobia era un vizio di famiglia. Nel 1902, il marito della Serao, Edoardo Scarfoglio accusò, sulla base di pettegolezzi, l’industriale tedesco Friedrich Alfred Krupp di essere un omosessuale e di organizzare orge maschili. L’intenzione di Scarfoglio era estorcere denaro a Krupp, ma avendo ottenuto un netto rifiuto decise di pubblicare l’articolo accusatore. Poco tempo dopo Krupp morì per  suicidio, sopraffatto dallo scandalo. Leggi la vicenda QUI. 

Matilde Serao su Oscar Wilde e Alfred Douglas, settembre 1897: 

C’È O NON C’È

Qualcuno ha annunziato che in Napoli si trovi Oscar Wilde, il “decadente” inglese che diede così larga copia di argomenti ai cronisti alcuni anni or sono a proposito di un processo ripugnante. Questo annuncio ha messo molte persone, tra le quali l’umile sottoscritto, in una certa trepidazione confinante col panico. Come? Oscar Wilde a Napoli? Ma sarebbe una calamità, la presenza tra noi dell’esteta britannico, sia pure – come si annuncia – sotto falso nome!

Noi avremmo assai vicino il più insopportabile tipo di seccatore che le cronache contemporanee abbiano inflitto al pubblico paziente! Vi ricordate il putiferio che si fece, lungamente, assordantemente intorno a questo nome resosi celebre nel mondo assai per gli immondi errori di chi lo porta che per le opere, pregevolissime per forma eletta, del suo ingegno acuto e scintillante? Dappertutto, in quel tempo, si era perseguitati dal caso Oscar Wilde: non v’era grande o piccolo giornale che non vi consacrasse una colonna, almeno, ogni giorno; non vi era scombiccheratore di carte che non esercitasse il suo spirito di analisi e di critica allo studio del poeta, dell’esteta e del colpevole singolarissimo.

Persino la sua condanna ai lavori forzati per un certo numero di anni diede luogo al dilagare di un fiume d’erudizione e di discussioni sul lavoro coatto in Inghilterra, su le acerbe pene dei condannati e su la rigidezza dei giudici di S.M. gloriosissima. Poi, finalmente, le trombe della trista fama immodestamente acquistatasi da colui che era stato ad un pelo per diventar poeta laureato della corte inglese si tacquero, per stanchezza o per tardiva pietà per le orecchie del prossimo: e Oscar Wilde fu lasciato alla sua sciagura, ai suoi pentimenti, alle sue pene. Si respirava un poco: il flagello wildiano pareva dileguato. Ce ne era tempo perchè esso percotesse di nuovo la pazienza dell’umanità!

Quasi quasi vi era di che ringraziare i giudici britannici per la loro severità in fatto d’infligger pene a gli odiosamente pervertiti! Ma ecco che, all’improvviso, di Wilde si riparla e la curiosità ritorna, e i cronisti si affaccendano a scoprire questo sciagurato – pentito, forse ravveduto, desioso di pace, desioso di nascondersi nel silenzio e nell’oblio – si accingono ad inseguirlo, forse o senza forse ad intervistarlo, a descriverne le minute occupazioni! E noi potremo resistere a questo ridestarsi del morbo che pareva estinto! Oh! No.

Stia o non stia a Napoli, l’esteta raffinato – raffinato a modo suo, s’intende! – io protesto in nome della gente per bene, in nome della gente che vuol vivere tranquilla, in nome della pace del Wilde stesso (il quale ha diritto di chiedere mercé e discrezione, dappoiché anche ai grandi colpevoli condannati al capestro è consentito questo diritto) perché non ci si infligga più una cronaca wildistica!

Ma, poi a conti fatti, può star nascosto tra noi quell’infelice? A me pare di no: egli deve essere ancora in una crudele carcere inglese, ad espiare il suo fallo, a piangere le sue esagerazioni bizzarre dell’istinto. Solo – e ciò, forse, spiega l’equivoco per cui egli fu creduto a Napoli – da investigazioni scrupolosamente fatte dai miei informatori, risulta che l’altro, come direbbe il buon Colautti, il complice di Wilde, quel giovane lord Douglas che porta così poco decorosamente il nome di una delle maggiori famiglie storiche della Gran Bretagna, se ne sta da sei o sette mesi in Napoli, nella quiete seducente di Posillipo, in una villa romita, nella quale si è dedicato, pare, ad occupazioni letterarie. E che il Signore gli usi misericordia, anche a quel traviato imberbe, innamorato dell’estetica, e lo lasci solo, in compagnia dei suoi fantasmi venusti!

Gibus

Foto grande in alto: la statua in marmi diversi in onore di Oscar Wilde, realizzata dallo scultore Danny Osborne, per un monumento in Merrion Square Park a Dublino.    [Foto Shutterstock]




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