ricinofotooo

L’ERA DELL’OLIO DI RICINO NON HA SPENTO L’ORGOGLIO. ANZI

L’omosessualtà ai tempi del fascismo, tra persecutori e razzisti, tra scienziati ipocriti e politici cattolici, tra confine e gogna pubblica, è nel momento in cui, lungi dal lasciarsi intimidire, organizza i primi passi verso la liberazione. E’ il contesto di “Ricino”, al teatro Litta di Milano 

Antonio D’Avino

Il fascismo, com’è noto, non pose mai fuori legge l’omosessualità, non almeno tramite una legge ad hoc. Tutta l’Europa, anzi, tutto il mondo la metteva fuorilegge, ma l’Italia no, nemmeno Benito Mussolini volle procedere, nonostante le pressioni della chiesa, di non pochi cattolici e di diversi parlamentari, scrittori o scrittrici, anche atei e liberali.   Il Regno d’Italia aveva calato il sipario su questo reato fin dall’entrata in vigore dell’illuminato Codice Zanardelli del 1889 (contrario anche alla pena di morte). L’interdetto sociale restava comunque forte, si rischiava di finire in carcere per attentato alla pubblica moralità, tuttavvia almeno le demenziali ispezioni anali per stabilire se il sospetto fosse attivo o passivo, quelle almeno furono evitate.

Non risulta, in altri termini, che siano capitati casi come quello occorso al poeta Paul Verlaine a Bruxelles, “visitato” all’ano da due luminari della medicina positivista, i quali stabilirono che il soggetto fosse “senz’altro passivo” e pertanto passibile di condanna. Verlaine fu condannato senza nemmeno che fossero scientificamente stabilite con uno studio ufficiale, né mai lo saranno da nessuna parte al mondo, le misure standard della circonferenza anali non omosessuali.

Arrestatateli!

A sinistra Diego Sommaripa, accanto Antonio Mocciola

Invece, un simile scenario, da cui l’Italia si credeva immune tanto da diventare punto di riferimento per gli omosessuali europei,  cala improvvisamente nel Bel Paese negli anni 30, e solo negli anni 30, quando alcune questure, tra cui molto attiva quella di Venezia, Roma e Catania, nonostante l’assenza di leggi specifiche, decisero di procedere ugualmente con l’arresto di qualche centinaio di omosessuali. Obiettivo: mandarli al confine per 5 anni, eseguendo all’uopo ispezioni anali e interrogatori umilianti.

E’ lo sfondo nel quale si muove Ricino”, testo tetrale scritto da Antonio Mocciola e Pasquale Marrazzo, il primo da tempo impegnato a indagare all’interno delle fasi storiche repressive, condotte di volta in volta in nome della moralità, della scienza, della salute mentale, del sacro, del buono e del bello. L’episodio storico è messo in scena dal regista e co-autore Pasquale Marrazzo al teatro Litta di Milano dal 6 febbraio all’11 (proprio la settimana sanremese),  con Diego Sommaripa, Antonio D’Avino, Vincenzo Coppola. Ambientato nel Napoletano prima e nelle isole Tremidi di confino dopo, narra l’involuzione subita da almeno 300 internati. Tutti considerati “invertiti”, “pederasti”, tutti allontanati per anni dalla loro vita sociale e affattiva, essendo oltretutto ritenuti “contagiosi”.

Pasquale Marrazzo

Marrazzo aveva già esplorato il terreno dell’omofobia con un suo film, Prossimo tuo, recensito qui, tema in parte autobiografico, ma l’omofobia è quasi sempre un tema biografico per qualsiasi persona omosesuale. Il clima pesante della sessuorepressione fascista è mitigato in scena dall’interpretazione di Sommaripa, che riesce a ritagliare uno spazio umoristico suo particolare, unica arma rimasta contro uno stato truculento, che decide di essere oppressivo in barba anche alle sue stesse leggi.  Il prigioniero  catturato in Questura (Diego Sommaripa) si barcamena fra un gerarca (Antonio D’Avino), a cui ipocritamente non dispiacciono certi servizietti, imposti con violenza, e l’amicizia tenerissima, l’amore di un altro condannato (Vincenzo Coppola).

Da notare che nemmeno la Repubblica di Salò reintrodusse il reato di omosessualità, nonostante le richieste provienienti dal settore più filonazista e razzista del partito, legato a Roberto Farinacci e a Telesio Interlanghi, appoggiato purtroppo da fior di medici e scienziati anche cattolici, in evidente malafede, i quali nel dopoguerra invece di chiedere scusa a ebrei e omosessuali hanno tutti smentito di appartenervi e di avere operato. Fu così che l’Italia ebbe un razzismo senza razzisti e un’omofobia senza omofobi.

Non solo fascisti

Emblematica la vicenda di un grande pittore come Filippo De Pisis, arrestato a Milano nel 1943 per omosessualità: aveva denunciato un giovane modello “gigolò” che lo aveva derubato di alcuni quadri, ma questi lo accusò di averci provato. Il questore avviò quindi le pratiche per mandare l’artista al confine, tuttavia siccome De Pisis era amico del gerarca Giuseppe Bottai, fu da questi salvato. In cambio però dovette sloggiare da Milano, si trasferì a Venezia. Qui aveva due gondolieri personali in servizio 24 ore su 24 che si davano il cambio e indossavano la livrea nera e oro.

Nel maggio 1945 organizzò una festa dai toni omoerotici nella sua abitazione per celebrare la Liberazione, ma veniva interrotta da alcuni partigiani comunisti che, ritenendola un’offesa alla morale e ai caduti della Resistenza, arrestò una ventina di partecipanti, tra cui l’importante pittore ferrarese. Ai giornali locali fu data la notizia di «un’assemblea orgiastica», senza risparmiare giudizi corrosivi sulla pederastia dei convenuti.  Nel 1948, alla XXV Biennale di Venezia era il maggior candidato al Gran Premio ma una lettera da Roma ne proibì il conferimento perché omosessuale.

Vincenzo Coppola

Ricordare fasi come queste della storia umana non è mero esercizio storico, è fondamentale per comprendere come sia sorto, tra l’altro proprio in quegli anni terrificanti, il primo movimento omosessule. Erano gli anni in cui Magnus Hirschfeld pubblicava le prime ricerche sulla sessualità non omologata, gli anni in cui anche in Italia Aldo Mieli, l’Hirschfeld italiano, scienziato e storico di levatura internazionale, veniva espulso dal Partito socialista italiano in Toscana perché bollato come “omosessuale passivo”. Le battute ironiche di “Ricino” pronunciate sa Somma sono l’annuncio di una mobilitazione che ci metterà dei decenni a crescere, ma sono già una spia, un sintomo dell’orgoglio gay indomabile anche nelle situazioni peggiori.




There are no comments

Add yours