I Promessi sposi alla prova

TEATRO / Così Testori provava l’attualità dei Promessi Sposi

Renzo e Lucia

di Roberto Schena

Il confronto fra due grandi della letteratura milanese e italiana porta a una rivisitazione in chiave moderna e ironica 

IL LIBRO DI MILANO E DEL SUO CONTADO

I Promessi Sposi sono IL romanzo di Milano, IL romanzo per eccellenza della letteratura italiana. A tutt’oggi non è stata ancora scritta un’opera letteraria di maggiore significato, non almeno in forma romanzata. Non solo. L’opera di Alessandro Manzoni è splendida anche per come narra il rapporto fra città e contado, fra nobili e umili, fra i borghi e le metropoli. Narra della vita dei contadini, della loro cultura religiosa, che non è uno scherzo, un omaggio al cattolicesimo, era così come la descriveva Manzoni grazie all’influenza di preti, monaci e frati, impegnati il più delle volte ad assistere deboli, orfani, vedove, anziani, invalidi. 

I “Promessi sposi alla prova” è uno spettacolo teatrale di Giovanni Testori (1923-1993) in scena al Teatro Parenti fino al 7 aprile 2019. E’ interessante e anche divertente. Per alcune genali battute direi perfino molto divertente, almeno il primo atto, che dura ben due ore (passano senza che ve ne accorgiate). Un vero capolavoro di ironia e di finezza, complimenti a Testori. C’è un terzo atto di un’ora, di cui vi dirò alla fine.

Don Abbondio e Griso

Interessante dicevo per il confronto fra due grandi della letteratura milanesei, italiana e lombarda in particolare. Per me Testori, pur bigotto e gay dichiarato incapace di comprendere i pride in piazza, era comunque da Nobel per la drammaturgia. Due autori che in comune hanno l’essere cattolici senza se e senza ma, lontani da qualsiasi corrente che non sia tradizionale e ufficiale e genuflessa al cardinale di turno. 

“QUEL”

Quel “alla prova” (sul pronome dimostrativo “quel” si ragiona per i 10 minuti iniziali, non dimentichiamo che è la prima parola del romanzo), è riferito sia al tentativo teatrale del mettere in scena il romanzo, sia al rapporto critico con la modernità. Testori adora Manzoni, si identifica come lui con Lucia, ma si rende conto che il romanzo ha bisogno di una riverniciata, per cui presenta la famigliola, il trio Lucia, Renzo e mamma Agnese (la simpaticissima Carlina Torta) più in una versione romantico-contemporanea che tipicamente manzoniana. 

Carlina Torta è Agnese

Ricorderete dalla lettura del romanzo che l’Autore mai induge sui sentimenti amorosi, tantomeno fra Renzo e Lucia, mentre invece quelli passionali, come fra suor Gertrude ed Egidio, annegano nell’omicidio. Testori umanizza i due giovani e nello stesso tempo estremizza la malvagità di don Rodrigo, identificato nel maligno tout court, in Satana in persona. Manzoni su questo personaggio era più sfumato, alla fine gli concede addirittura il perdono degli sposi, non si meraviglia dell’esistenza del Male. Si scandalizzava di più per il comportamento di don Abbondio, o per la monacazione forzata da un contesto famigliare opprimente, come per Gertrude. Testori sa che la media dei preti, oggi come allora, è quella che è, per cui il parroco di Olate ce lo presenta tapino ma ruffiano, come dire: non sparate sul pianista. Il don Abbondio di Testori, interpretato dall’ottimo Luca Lazzareschi, è anche lui capace di battute memorabili, come quella sulla stranota “Carneade, chi era costui”, a cui, rivolto al pubblico, aggiunge “scommetto che nessuno di voi sapeva chi era Carneade prima di me”.

SFIGATISSIMO RENZO

Filippo Lai è Renzo

Renzo è la vera sorpresa. Intanto è interpretato da un giovane Filippo Lai, la cui presenza scenica è degna dell’Actor studio’s. Le battute più comiche sono le sue, Testori ne fa uno sfigatissimo ragazzo dei giorni nostri: non solo non può trombare causa l’assoluta purezza immacolatissima e verginissima di Lucia, ma gli si impedisce il matrimonio che finalmente avrebbe risolto il problema dei suoi “bruciori”, è oppresso dal signorotto del Paese, che oltretutto vuole portarsi a letto la sposa, deve scappare, mettere a rischio la sua libertà e financo la vita in una Milano notevolmente abbruttita, alle prese con la peste, le rivolte, la fame, le spie, gli spagnoli. Di bello c’è solo il duomo. Alla fine vince, ma intanto si è sviluppata una immane tragedia collettiva.

Suor Gertrude

Ecco, Testori legge i Promessi sposi in chiave di tragedia. La Storia, con la S maiuscola, è tragedia immane. Ci si sottrae perché fortunati, o grazie alla Provvidenza, tertium non datur. La vittima vera non sarà lui, la vittima designata, per eccellenza, la più vittima delle vittime, è suor Gertude, morta vivente, seppellita nella sua tombra ben prima di lasciare questo mondo. Poco sviluppata la personalità del Cardinal Federigo, Manzoni ne fece un santo, cosa che oggettivamente non era come non lo era san Carlo Borromeo suo cugino, un feroce inquisitore. Testori è più prudente e lascia ambedue sullo sfondo.

Il terzo atto è molto diverso, si fonda su tre o quatro lunghissmi monologhi deliranti e disperati, assolutamente tipici del teatro di Testori. Sembrano piuttosto concessioni agli attori, come un tempo gli autori lirici concedevano degli assolo strabilianti per mettere in luce la spericolata bravura degli esecutori. Ci sta. Ma potete anche andarvene dopo il primo atto, io sono rimasto per solidarietà verso gli attori, soprattutto per vedere quel fenomeno che è Filippo Lai, però insomma i monologhi un po’ allungabrodo lo sono. 

 pERSONAGGI E INTERPRETI

Adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
Luca Lazzareschi, narratore, don Abbondio, Innominato, padre Cristoforo
Laura Marinoni, la Monaca di Monza
Carlina Torta, Agnese
Filippo Lai, Renzo e Griso
Laura Pasetti, Lucia
Nina Pons, Perpetua
Sebastiano Spada, don Rodrigo

Don Rodrigo

Il caos nell’abitazione di don Abbondio

La Monaca di Monza con la figlia e al tempo stesso la madre che consegna la figlia ai monatti

I Promessi sposi mentre provano




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