Porta Volta, un grosso sfregio alla vecchia Milano

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Interminabile piramide di vetro nella vecchia Milano

Una piramide oblunga di vetro e acciaio nel cuore della vecchia Milano. Dopo avere alterato profondamente con grattacieli fantasiosi, l’aspetto di Porta Garibaldi e di Porta Nuova, tutti edifici bellissimi, ma fuori scala e fuori contesto, anzi in profondo dispregio di quest’ultimo e senza che la Soprintendenza muovesse un dito, voilà lo scempio di Porta Volta, uno dei quartieri più caratteristici e meglio conservati della Milano storica. Il prossimo quartiere da rovinare, prego? Arriverà presto. 
Il progetto era nato ed era stato approvato come una grande casa della cultura pro Fondazione Feltrinelli. È stata cambiata la ragione sociale e quello che doveva essere il Beaubourg milanese è diventato un normalissimo edificio a uso uffici privati. I gusti sono gusti, l’edificio in questione può piacere o non piacere (non piace quasi a nessuno) ma una cosa è certa: stilisticamente è un (l’ennesimo) pugno nell’occhio inferto nel cuore della vecchia Milano, firmato da due archistar svizzere, Jaques Herzog e Pierre de Meuron altrimenti chiamate H&M. Attenzione alle archistar, chiunque esse siano. Sono quelle che, coperte dalla fama, compiono i maggiori scempi.

Asservimento alla speculazione fondiaria

Porta Volta è composta di due caselli daziari, oggi in condizione di degrado, uniti da una cancellata, come mostra la foto d’epoca qui sotto. A differenza di altre porte milanesi, in specie quelle vicine, è assente l’arco tradizionale. Fu infatti progettata da Cesare Beruto (l’ingegnere che redasse il primo piano regolatore di Milano) nel 1880 attribuendole una funzione unicamente daziaria, demolendo un tratto delle mura spagnole.  

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Porta Volta poco dopo la sua costruzione nel 1880

Si disse di volere così consentire un migliore accesso al cimitero Monumentale, allora appena costruito. In realtà, il suo aspetto è quello di una porta molto aperta, concepita in questo modo per la pressione esercitata da due famiglie proprietarie terriere, i Molteni e, giust’appunto, i Feltrinelli, che in realtà vedevano in questo nuovo accesso una preziosa possibilità di valorizzare i propri terreni limitrofi, che anche oggi vengono a frutto. La città non si smentisce, ma non è una buona ragione per decretare il perenne asservimento alla speculazione fondiaria.

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