PHILIPPE DAVERIO

L’INTELLETTUALE DI DESTRA CHE DIVERTIVA LA SINISTRA

Un ricordo personale dell’ex assessore alla Cultura di Milano, i suoi rapporti con la Lega, la (poco evidente) simpatia per la destra, il narcisismo snobistico che piaceva a una sinistra in mutazione genetica  
Conobbi Philippe Daverio a Venezia nel 1997, tornammo insieme a Milano con la sua macchina, dotata di uno dei primi telefonini, pesanti un chilo e mezzo, ricordo che il suo numero iniziava per 333. Lo intervistai tutto il tempo, venne fuori, tra le altre cose, la sua conoscenza della Francia, il parlare francese e tedesco in modo perfetto, la sua cultura in materia d’arte, dove lavorava da gallerista, l’appartenenza alla sfera politica della destra cattolico-liberale, anche se era abile a nasconderlo. Infatti, oserei dire che la destra ha perso oggi prematuramente uno dei suoi intellettuali migliori, già non è che ne abbia molti, una vera jattura.

CATTOLICO TRADIZIONALISTA, MA NON LO DIMOSTRAVA

Daverio era uno dei pochissimi in grado sostenere idee cattolico-tradizionaliste (adorava Ratzinger) e di contrapporsi alla sinistra nei dibattiti pubblici, forse senza nemmeno crederci, solo per puro opportunismo, certo con inguaribile snobismo. Mi era simpatico, sebbene qualcosa di lui non convincesse.
A Venezia mi ci mandò Dodo, il capo della cronaca di allora de l’Indipendente diretto da Feltri. Daverio era nella lista degli assessori, indicato come futuro responsabile della cultura da Formentini, che l’aveva scelto su segnalazione di un editore milanese legato alla Longanesi. La Lega vinse le elezioni, per cui partii a razzo per Venezia, dove lui si trovava. La mia prima impressione era che con la Lega di allora non c’entrasse nulla. I leghisti non ne erano affatto convinti, Daverio era europeo fino al midollo: ebreo, alsaziano, mezzo francese, parlava come minimo quattro lingue allo stesso livello dell’italiano.

la lega che non ama l’arte moderna

Frida Kahlo, Autoritratto

Non c’entrava nulla con la cultura nordico-federalista, i leghisti dell’arte moderna non ne volevano sapere, avevano idee legate alla tradizione, non all’astrattismo. Un gallerista era quanto di meno adatto potesse sposare la Lega, allora partito popolare e di sinistra. Ricordo l’opposione feroce dall’interno della Lega quando propose una mostra su Frida Kahlo, soprannominata da loro “la pittrice coi baffi”. La mostra non passò. I 36 consiglieri leghisti non erano poi così ignoranti come li si dipinge, c’erano persone più che preparate. Ma Daverio ottenne una grossa rivincita con il carnevale dell’anno seguente, il più spettacolare e il più grande che abbia mai visto Milano. Colossale. Con un milione di persone in piazza a osservare artisti di alto livello ingaggiati in Europa dal Comune e messi in ogni angolo del centro. Piazza Duomo trasformata in un paesaggio da sogno. Non si ripetè mai più, troppo pericoloso tanta gente in piazza. Troppo impegnativo per i servizi comunali, dall’Amsa ai trasporti. Da allora, Davero divenne il cocco della giunta, dei direttori di giornale e perfino della Lega, che pure continuava a ridere e scherzare sul suo modo stravagante di vestire. Daverio era un finto dandy, un dandy non riuscito, vestiva veramente male. “Ci manca solo che si metta una cacca di cane in testa e siamo a posto”, commentò un consigliere comunale leghista.

la turta di spus non gli piaceva

Studiò come riorganizzare la cultura e il sistema museale milanese, mai toccato dalla loro fondazione, con idee importanti che non fece in tempo ad attuare, furono poi realizzate da Albertini. Impedì la ricostruzione del fontanone di piazza Castello, diceva che era un’opera stile fascista, magari stava bene davanti alla stazione Centrale, ma non lì. Commise un gosso sbaglio, il classico errore dello snob, perché poi com’era prevedibile il fontanone lo pose comunque cinque anni dopo Albertini, piacque molto ai milanesi e il sindaco fu sommerso dagli elogi. Daverio, che aveva ideologicamente ragione, avrebbe avuto l’autorità di chiedere un nuovo più moderno progetto, evitando la riedizione pura e semplice della tozza turta de spus pro orfani di guerra. Era l’idea del fontanone popolare che non gli piaceva, troppo volgare, a meno che non si trattasse della fontana di Trevi.

La grande fontana di piazza Castello, soprannominata Turta di spus

Daverio è un grande autore, non ha scritto nulla di capitale importanza ma al suo attivo ha una marea di pubblicazioni su vari argomenti di storia dell’arte e non solo, usando sempre un linguaggio accessibile a tutti e possibilmente rinnovando l’approccio di massa alla cultura. Per Raitre crea Passpartou, la trasmissione di cultura più seguita della tv in assoluto. Quando gliela sopprimono, non ne comprende la ragione: andava così bene.

narcisismo snobistico che divertiva la sinistra

In realtà, Davero era divenuto intollerabilmente snob, il programma era molto concentrato sul Daverio-pensiero, una manifestazione di narcisismo personale che non piaceva per ragioni educative, non solo agli ambienti dei professori. Divertiva una sinistra in mutazione genetica, imborghesita, questo sì. Tuttavia, nessuno prese le sue difese, né a destra, né a sinistra, dove pure Daverio divertiva di più, e questo è significativo. Nemmeno Mediaset, che ha recuperato cani e porci, gli offre un angolo di cultura.
Il suo guaio è che Vittorio Sgarbi gli rubava la scena.



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