10 luglio 1873-2023, QUANDO VERLAINE SPARÒ A RIMBAUD

Centocinquant’anni fa, due tra i maggiori poeti del XIX secolo, vicini all’area parnassiana, ebbero un diverbio (uno dei tanti…) che portò Paul Verlaine a sparare contro Arthur Rimbaud, di dieci anni più giovane. Ne seguì un processo più grottesco che omofobo
No ma voi non avete idea del clima in cui era immersa la coppia Rimbaud-Verlaine fra il 1872 e il 1873, il 10 luglio del quale ultimo avvenne il fattaccio. Verlaine, ubriaco, spara a Rimbaud ferendolo al polso, dove si conficca il proiettile. Il secondo ne è talmente spaventato che all’ospedale denuncia il primo per tentato omicidio, temendo che potrebbe ripetere. Nei giorni seguenti ritirerà la denuncia e minimizzerà i termini della lite, ma ormai la frittata è fatta, l’avvio della giustizia è inarrestabile.
Il contesto dello sparo è il seguente: Verlaine e Rimbaud nel 1873 erano fuggiti da Parigi insieme, il primo lascia moglie e figlio. Vanno a Bruxelles, poi si spostano a Londra dove ci stanno abbastanza bene, si mantengono impartendo corsi di francese e loro stessi seguono dei corsi di inglese. Scrivono poesie in coppia talmente allusive a una reciproca relazione intensamente erotica che probabilmente sono state scritte a letto insieme mentre erano nudi stretti stretti. Insomma, si capisce bene che la relazione fra i due non ha limiti.

«Venite a prendermi o mi uccido»

I PARNASSIANI – Rimbaud e Verlaine sono i due seduti a sinistra, in un quadro di Henri Fantin-Latour

Già poeti e scrittori dell’ambiente parnassiano avevano ben capito. Qualcuno che odiava il caratteriale Rimbaud lo sfotte descrivendolo e disegnandolo come una signorina del tutto “passiva”. Dopo qualche settimana a Londra i due litigano di brutto per delle sciocchezze caratteriali, nervosismi e incomprensioni dovuti a differenza di età ed estrazione, nulla di veramente grave e irrimediabile. Sembra la classica scena di coppia: “Basta, vado da mia madre, non mi vedrai più”, Rimbaud prende e fa la valigia, torna dalla mamma nel paese natio. Verlaine si dispera, lo rivuole a tutti costi, gli chiede mille volte scusa etc. Rimbaud è inamovibile, Verlaine torna a Bruxelles, non a Parigi dove c’è una moglie che lo aspetta col mattarello alzato. Qui scrive a lei, alla madre, a Rimbaud e pure alla sua mamma: “Venite qui a prendermi perché sennò mi ammazzo, guardate che faccio sul serio, ho già comprato la rivoltella”. La mamma di Verlaine accorre subito, non la moglie, stufa delle corna “immorali” del marito; se ne guarda bene e anzi porterà a Bruxelles in tribunale le lettere inviate da Rimbaud a Verlaine prelevate forzando il cassetto della sua scrivania. Le lettere vengono sequestrate. La mamma di Rimbaud, che non abbandonerà mai il figlio, nemmeno negli anni successivi, manda una lettera accorata: “Vi prego non uccidetevi, andreste all’inferno”.

Va a trovarlo un amico pittore, che dice: “Se ci fosse stato anche Rimbaud non sarei venuto perché lui è un sodomita immorale e come tale mi fa ribrezzo”. Lo convince ad arruolarsi nell’esercito spagnolo. Verlaine afferma: non mi ammazzo più, vado in Spagna.

Lo sparo che divide

Sorpresa: arriva Rimbaud, ma dopo qualche giorno di convivenza c’è una gran discussione, Verlaine è ubriaco e quando Arthur minaccia di andarsene via per una seconda volta, spara a lui invece che a se stesso. In realtà non aveva la minima intenzione di ammazzarlo, se l’avesse avuta lo avrebbe fatto sicuramente secco, era lì di fronte nella stessa stanza. Spara per fare un po’ di scena, purtroppo però il colpo va dove vuole.
Il giudice belga, uno che divorava bon-bon e dolci fino a quando non si prese il diabete, è scandalizzato dall’immoralità della relazione senza freni e chiama due dottoroni positivisti per sapere se l’immoralità contronatura del signor Verlaine, risultata piuttosto evidente dalle lettere sequestrate alla moglie e a lui stesso, lo fosse anche scientificamente. La moglie, giunta apposta, in tribunale, dice peste e corna sia di Verlaine, sia di Rimbaud, sia di tutt’e due insieme. Rimbaud, invece, nega recisamente di avere una relazione “intima”, cioè sessuale.

Scienza rudimentale

Paul Verlaine ritratto da Gustave Courbet

I due dottoroni visitano Verlaine in prigione, lo fanno spogliare nudo, gli misurano il pene e il glande, scrivendo che il tutto è piccolo e appuntito (di certo Rimbaud non ci andava a letto perché fosse un dio della bellezza). Poi ispezionano l’ano descrivendo minutamente com’è fatto, tutte le pieghe che ha, un foruncolo, un neo, misurano la dilatazione. Nessuna malattia venerea, comunque. La loro relazione consiste in tre righe tre di numero, totalmente incomprensibili anche per un medico scienziato di allora. Le tre righe stabiliscono, praticamente in base alla sola parola, che Verlaine è “sodomita contronatura attivo e passivo”. Da che cosa l’abbiano dedotto rimane il mistero principale dell’intera vicenda, emblematica di una mentalità d’epoca.  Il giudice mangiabonbon ha così il movente: la perversione di Verlaine, per cui lo condanna a due anni. In prigione, il direttore, abituato a delinquenti veri, capisce di avere di fronte un intellettuale tutto sommato mite, gli assegnerà compiti leggeri, gli apre la biblioteca del carcere, gli assegna carta e penna, avrà lunghe e piacevoli conversazioni con lui e promuove la sua liberazione anticipata. Resta l’unico personaggio che si salvi in questa vicenda.

Troppo giovani per andarsene

Verlaine e Rimbaud si scriveranno, ma non si vedranno mai più. Il fatto e la lontananza successiva ha traumatizzato entrambi. La vera tragedia è il contesto in cui hanno vissuto la loro relazione facendosi beffe del mondo circostante, non lo sparo. Rimbaud senza Verlaine rimarrà senza la sua sicurezza principale, non scriverà più un verso, andrà in giro in Europa (passa anche a Milano), in Africa fino in Somalia, dove e muove per malattia a 37 anni. Verlaine a 52, due anni dopo avere perso un giovane amante mentre svolgeva il servizio militare. Tutti troppo giovani per andarsene, chissà in un contesto diverso che cosa avrebbero potuto dare: poesie, forse romanzi, testi teatrali, saggi, capolavori.
Il termine “omosessuale” era appena stato coniato nel 1869, ma non era diffuso, Rimbaud e Verlaine non lo conoscevano, tantomeno il giudice mangiabonbon di Bruxelles e i due dottoroni positivisti. Fu inventato da un letterato: Karl-Maria Kertbeny (1824-1882) che lo usò in un pamphlet anonimo contro l’introduzione da parte della Prussia di una legge per la punizione di atti omosessuali, poi peggiorata da Hitler. A Kertbeny si deve anche il conio di “bisessualità”. Solo negli anni Venti si farà strada il termine eterosessuale.
Le lettere di Rimbaud a Verlaine sequestrate alla moglie saranno riassegnate dal giudice non ai legittimi proprietari, ma alla moglie stessa, che ovviamente le brucerà per salvaguardare la sua dignità personale dopo essere servite a ottenere il divorzio da Verlaine. È il danno del secolo al genere biografico, la biografia di due fra i maggiori poeti del XIX.

Rimbaud e Verlain in due foto tessera scattate quanso avevano più o meno la stessa età (meno di 20 anni)




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