Questo dipinto ad olio e il successivo, ritraggono
una San Pietroburgo molto simile a quella
descritta da Dostoevskij in “Delitto e Castigo”
Nella prima metà dell’Ottocento, la Milano di Stendhal è una città straordinariamente felice. La San Pietroburgo di Fëdor Dostoevskij è, all’opposto, molto infelice.
Alla fine del secolo, Milano assomiglierà alla realtà sociale di San Pietroburgo. Altro che Prospettiva Nevskij e capitale imperiale. In “Delitto e castigo”, Dostoevskij negli anni 40 dell’Ottocento descrive una San Pietroburgo fatta di viuzze laterali e maleodoranti, misera, con “ubriaconi” quasi ovunque. L’alcolismo è una vera e propria piaga sociale. La gente veste spesso di stracci ed è indurita dal malessere; la città pullula di bimbi abbandonati, sopravvivono (se ci riescono) chiedendo l’elemosina; nessuna struttura sociale, anche caritativa, li accoglie. Gli orfanatrofi sì, ci sono, ma prima di accoglierli vogliono sapere se c’è un benefattore, un mezzo tutore a sostenere una retta, anche parziale. Per le strade di San Pietroburgo non c’è la gioia e lo splendore della capitale imperiale creata nel XVIII secolo da architetti italiani ed europei. E’ un luogo che non dà alcuna felicità, possibilmente solo nausea con le sue miserie bene in evidenza e i suoi appartamenti striminziti, affittati a caro prezzo a studenti che, come il protagonista, Raskolnikov, poi non hanno più soldi per mantenersi agli studi e progettano… delitti riparatori, appunto. San Pietroburgo è un luogo dannatamente in mano agli usurai, con l’usura praticata ovunque da chiunque, come la vecchia uccisa da Raskolnikov. La religione è poco o nulla presente e di nessun conforto. Dostoevskij, cristiano ortodosso osservante, sebbene atipico, non ci mostra una sola chiesa degna di essere descritta e raccontata, un solo uomo di religione degno di questa definizione. Dostoevskij è molto, molto lontano da un altro scrittore credente, Alessandro Manzoni. La città, per lo scrittore russo, ancorché vasta e magnifica, non salva, non favorisce la fede, anzi, è un insulto continuo ai sentimenti religiosi. Lo Stato russo degli zar riesce a essere equo solo nell’abrogazione della pena di morte, sostituita però dai lavori forzati in Siberia, dove già allora serviva mano d’opera. La deportazione in luoghi tanto lontani e poco accessibili rendeva peraltro improbabile le visite dei famigliari ai detenuti, che così erano abbandonati a loro stessi. In sostanza, il malessere nella società russa, nelle pieghe delle sue realtà più avanzate e civilizzate, è tale che si comprenderà come proprio San Pietroburgo diventerà la città rivoluzionaria dell’Ottobre rosso.
Un altro angolo di San Pietroburgo simile
alle descrizioni di Dostoevskij
La rivoluzione è sottilmente auspicata dallo scrittore, ma senza alcuna speranza di vederla arrivare. In questo senso, “Delitto e castigo” può essere letto in chiave profetica. Tutto il contrario è la Milano di Stendhal, che fra il 1814 e il 1821, è una cittadina borghese già liberata dall’oscurantismo spagnolo descritto dal Manzoni. I luoghi sacri di Stendhal a Milano sono la Scala, il duomo (visitato di notte quando spende al chiaro di luna), le colonne di San Lorenzo, le passeggiate fra i navigli e i bastioni, oggi scomparsi. Le strade tutte pulite, i pavè da far invidia a Parigi, mai uno spettacolo di miseria per le strade, gli orfani affidati ai Martinitt, tutto un brulicare di lavori pubblici per farne la nuova capitale del Regno d’Italia. Nei salotti si sente solo cultura e sono frequentati da belle donne. Stendhal conosce il meglio della cultura milanese: Vincenzo Monti, Romagnosi, Manzoni, Tommaso Grossi, Silvio Pellico, il Berchet e il Borsieri, Gioacchino Rossini, che in quel periodo era a Milano e scriveva “La gazza ladra”. Per questo egli volle sulla sua tomba la scritta: «Henri Beyle, milanese». Uno spaccato ottimista, forse troppo.
Piazza duomo all’epoca di Stendhal. Di fronte
alla cattedrale un edificio oggi non più esistente,
mentre poco più il là è visibile un altro edificio
(scomparso) con il porticato del Figini
Non si comprende, infatti, come una città così felice e soddisfatta, possa essere stata protagonista, tre decenni dopo, delle sanguinose Cinque Giornate nel 1848. Dettero il via al Risorgimento, nonostante l’amministrazione austriaca non fosse più opprimente di quella napoleonica o, peggio, paragonabile alla dominazione spagnola. Lo scrittore di Grenoble era morto da appena sei anni, nemmeno sessantenne e quella che si vede fra le vie e le piazze del ’48 non è già più la sua Milano, alle prese con problemi drammatici che forse, allora, Stendhal non seppe o non volle vedere. Bisognerà attendere la visione più realista della Scapigliatura, la rivolta del Quarto Stato repressa nel sangue dal generale Bava Becaris, il regicidio di Umberto I, per vedere la città nella sua vera luce. Ma siamo ormai nella seconda metà del secolo, in piena rivoluzione industriale e qui Milano assomiglia notevolmente alla San Pietroburgo descritta tre o quattro decenni prima da Dostoevskij.
Sotto: due immagini della Milano luminosa legata a Stendhal nei dipinti dell’epoca a lui contemporanea: la chiesa di San Lorenzo e la costruzione del napoleonico Arco della Pace
MM sta facendo indagini geognostiche per fattibilità estensione metro lilla, se dovesse arrivare un progetto e in futuro esecuzione, sarebbe un poco più attenzionata. Al
Sarebbe da gestire molto meglio Quinto Romano, rendere i marciapiedi più accessibili , rendere efficiente l' ufficio postale di Caldera con personale all' altezza loro […]
secondo voi è possibile che Milano inglobi (facendo propri quartieri) ulteriori cittadine ora presenti nella prima fascia? Ad es. Novate Milanese, Bresso, Rho ecc
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