LACTALIS E IL DEGRADO DELLE NOSTRE CAMPAGNE

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Il degrado delle nostre secolari cascine e la progressiva decadenza di un’intera civiltà rurale s’accompagnano alla scomparsa delle marcite, dovuto alle scelte penalizzanti dell’Ue, che hanno favorito la svendita dei terreni e la speculazione edilizia, nonché alla parallela campagna acquisti da parte delle multinazionali. Paghiamo latte e latticini più della media Ue. 

La vita  delle stalle italiane, a cui è legata la sopravvivenza del mondo rurale nel Bel Paese, dipende da pochi centesimi per litro di latte: il prezzo ormai è sceso a 34 centesimi al litro. Alle aziende di trasformazione e alle multinazionali, soprattutto alla francese Lactalis, che si è comprato un terzo dei nostri marchi, è più conveniente il latte proveniente dall’estero e dai Paesi dell’Est europeo, sebbene sia di qualità molto inferiore.
Il risultato è che nell’ultimo anno oltre mille stalle da latte sono state chiuse, il 60%  delle quali in montagna e quasi 4.000   posti di lavoro andati in fumo per effetto della perdita nei bilanci di circa 550 milioni di euro, perché il latte agli allevatori viene pagato al di sotto dei costi di produzione, con una riduzione dei compensi fino al 30%  rispetto allo scorso anno, attestati su valori inferiori a quelli di venti anni. La presenza della multinazionale francese Lactalis in Italia si sta rivelando un vero e proprio esproprio ai danni dell’agricoltura e dell’allevamento delle nostre campagne. I francesi ormai c’impongono i loro prezzi e i loro prodotti.

logo_lactalis_italiaLa campagna acquisti inizia nel 2003 con l’acquisizione di un marchio importante, l’Invernizzi; continua negli anni successivi con l’acquisizione delle altrettanto importanti Galbani, Locatelli e Cadermartori che, insieme, rappresentano quasi tutta la produzione lombarda. Nel 2011 il colpo più grosso con l’acquisiszione della Parmalat in crisi dopo il crack politico-finanziario di Callisto Tanzi.  Parmalt garantisce il controllo dell’allevamento nell’importante area emiliano-romagnola e di un’importante fetta delle coltivazioni e degli allevamenti nella  pianura padana. Quest’anno, Lactalis ha proceduto con l’acquisto del Consorzio Cooperativo Latterie Friulane. A tutto ciò si aggiunge la strana storia della Centrale del Latte di Roma, venduta dal Comune (giunta Alemanno) a Cirio, che poi a sua volta l’ha ceduta a Lactalis. Le azioni della Centrale del Latte (da cui dipende il controllo sulla produzione nel Lazio) sono però ritornate al Comune di Roma dopo una sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato la vendita, ma lo stesso Comune, dopo cinque anni, non ha ancora avviato le procedure di recupero delle proprie azioni.
Ormai Lactalis in Italia detiene il 33% del mercato italiano del latte a lunga conservazione. L’assenza di un’indicazione chiara dell’origine del latte a lunga conservazione, ma anche di quello impiegato in yogurt, latticini e formaggi, non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative e impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia del Made in Italy autentico. Inutilmente gli allevatori hanno chiesto al Governo di introdurre per legge l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza. Lactalis detiene il 34% del mercato nella mozzarella, il 37% nei formaggi freschi e arriva addirittura la 49,8% nella ricotta, con una quota di mercato complessiva nel settore lattiero caseario del 23,4% in volume, mentre acquista circa l’8% del latte italiano. Lactalis, che è in grado d’impone agli allevatori, che prima producevano per Galbani, Invernizzi, Parmalat etc, un prezzo sempre più basso, oggi nemmeno sufficiente a coprire i costi.
Da decenni la legislazione europea non solo non aiuta gli allevatori italiani ma, di fatto, lavora solo per le multinazionali finanziando le aziende che smettono di allevare e produrre latte. Risultato?

lactalIl progressivo abbandono delle colture destinate al foraggio per gli animali, quindi delle stesse cascine secolari, dei borghi millenari, in degrado quasi ovunque, ben visibile  in prossimità delle città, nella campagna più profonda, in montagna e mezza montagna. Per questa ragione, in Lombardia  sono quasi completamente scomparse le marcite, che consentivano una decina di raccolti l’anno e la produzione di latte e latticini di altissima qualità. Il divario tra i prezzi pagati dal consumatore italiano e il prezzo riconosciuto agli allevatori è   la più alta d’Europa. In Italia, industria e distribuzione hanno margini molto più elevati rispetto a paesi come Francia e Germania.  Si comprende quindi l’interesse delle multinazionali per il nostro Paese, dove il ceto politico non ha mai protetto la nostra produzione, in nome delle sacre scelte comunitarie.
Lactalis (e non solo) è abituata a comportamenti scorretti ovunque sia presente, eppure imperversa nel continente come nulla fosse: è stata pesantemente multata per abusi di posizione e atteggiamenti anticoncorrenza dall’Antitrust in Spagna, insieme all’altra multinazionale francese, la Danone, e perfino nella stessa Francia. In Italia mai.

Tanto per capirsi: non è che Lactalis sia direttamente responsabile dello svuotamento di un’intera civiltà rurale nel Nord, ma l’insieme dell’atteggiamento europeo, fra patti scellerati targati Ue e multinazionali lasciate in un simile contesto senza freni, certamente.  Lactalis e le altre multinazionali comprano latte a basso prezzo in Europa da Paesi come la Polonia e gli altri dell’ex blocco sovietico, con meno controlli e di qualità inferiore. A fronte di una produzione nazionale di circa 110 milioni di quintali di latte sono già 85 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente dall’estero, circa il 40%  e c’è il rischio concreto che il latte straniero possa a breve per la prima volta superare quello tricolore.

LactalisIl disegno delle multinazionali e dell’Unione europea è molto chiaro:  puntare sulla produzione straniera da rivendere ai consumatori italiani a prezzi maggiorati fino al 50% rispetto a quelli di altri Paesi Europei. Per raggiungere lo scopo, occorre far chiudere il maggior numero di stalle per dimezzare la produzione italiana. E’ la  consegna al degrado le nostre campagne. Moltissime delle nostre aziende rurali che hanno chiuso gli allevamenti, o perché trovavano più convenienti i soldi della Ue, o perché alle prese con costi insostenibili a fronte di prezzi troppo bassi, sono passate ad altre coltivazioni, soprattutto di mais. Adesso alle stesse aziende viene detto che il mais prodotto in Italia è di qualità inferiore rispetto a quello importato dalle multinazionali, coltivato ovviamente a suon di ogm.

 

 

 




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