GRATOSOGLIO, l’abbazia nascosta nel quartiere

CHE COSA RESTA DEL GRATUM SOLIUM

La rivela una vecchia foto trovata per caso

CHE COSA RESTA DEL GRATUM SOLIUM

La chiesa di San Barnaba e il monastero ieri, e come si presentano oggi

… fra le pagine di un eccellente libro-guida del 1987, diventata subito occasione di un viaggio a ritroso nel tempo. La foto d’epoca è tratta da Milano fuori di mano, Mursia, opera notevole del giornalista Luca Sarzi Amadè, uno dei primi a comprendere e segnalare l’importanza e la bellezza dei borghi milanesi, andandoli a trovare nei quartieri più sperduti di Milano. «La vera Milano di chi ci vive e lavora – scrisse già 30 anni fa – è fuori dal centro storico». È la Milano patetica e poetica di Enzo Jannacci, tanto per intenderci, che non a caso firmò la presentazione del manuale, oggi introvabile. La foto mostra una chiesetta del quartiere Gratosoglio davanti alla quale dipartono due rustici. Quello di sinistra non esiste più.  Sulla facciata a capanna, molto semplice, si nota un rosone centrale e un campanile piuttosto elaborato. Non esistono più. Dal lato sinistro sporge un’ala della chiesa, dotata di ingresso: conteneva due delle quattro cappelle votive, due per lato. Cancellate anche queste. Siamo in via Gratosoglio, angolo via Feraboli.

Devastare la città e piangerci sopra

Ma l’angolo e la prospettiva esistono tutt’ora.  Come mostra la fotografia più recente, scattata in questi giorni, è molto manomesso, purtroppo. Ma riconoscibile. Si trattava di un’abbazia  vallombrosiana piuttosto nota a Milano e a Roma, una fama durata i quasi mille anni della sua esistenza. Comprendeva  una cascina a corte quadrata, dove presumibilmente abitavano e lavoravano, insieme agli animali, i frati laici dell’ordine; la chiesa a navata unica, ma con quattro cappelle; una canonica, ossia il luogo dove alloggiavano i monaci. La canonica era dotata di una loggia che oggi è a tre archi, probabilmente in passato erano cinque. Sempre verso l’interno, c’è ancora la parte della chiesa che ospitava due delle quattro cappelle esterne alla navata. L’attigua cascina è per tre quarti intatta. Purtroppo, come si vede, l’intero complesso, appartenente a una vera e propria abbazia dotata di una certa ricchezza, è quasi completamente nascosto da edifici moderni per abitazioni operaie. Sono stati costruiti dal proprietario dell’area nel quartiere, datore di lavoro degli stessi operai che via alloggiavano.

L’abbazia in mano a monaci-scienziati

L’area fu ottenuta dalla Santa Sede in cambio di un’altra area vicina, dove poi è stata costruita la nuova chiesa del quartiere, tutt’oggi in funzione.  Non c’è stato alcun riguardo verso monumenti del genere, li si è lasciati devastare. Le abitazioni operaie che circondano l’abbazia, sono state costruite dal cotonificio Cederna, aperto nel XIX secolo e ancora esistente. Negli anni 60, l’erede dei Cederna fece demolire le due cappelle, i cunicoli che si trovavano sotto e trasformò la chiesa in magazzino.  L’abbazia era tenuta dai monaci vallombrosiani, grandi studiosi di scienze naturali, di agricoltura, selvicoltura, medicina e scienze ospedaliere. È tra loro, per esempio, che studia il giovane Galileo Galilei. Possono essere definiti degli ecologisti-ambientalisti ante litteram, perché da sempre sensibili alla tutela della natura, apprezzata come “il creato”; i monaci, secondo la regola, non lavoravano, si dedicavano solo ad attività religiose e allo studio; per tutto il medioevo furono i maggiori esperti di botanica.

Perché “gratum solium”?

Abitavano separatamente dai frati laici addetti ai lavori manuali. Nel caso del Gratosoglio, stavano nella canonica con i tre archi. La domanda da porsi è: come mai i monaci vallombrosiani scelsero proprio il Gratosoglio, allora luogo di paludi e boschi, per fondare un’abbazia ancora nell’XI secolo, andandosene solo a seguito dell’invasione napoleonica? La risposta la si trova nell’etimologia del nome stesso del quartiere: gratum solium,  luogo bello dove stare. E ricco di pesci, di rane (poco più in là c’è il borgo di Ronchetto delle Rane), di campi fertili, di limpide acque risorgive. Leggenda vuole che fosse l’apostolo San Barnaba, di passaggio a Milano nel 51 d. C. a definirlo così, quando arrivò il 13 marzo di quell’anno. Del suo passaggio resta un ricordo proprio nella chiesetta che oggi è un magazzino, dedicata per l’appunto a San Barnaba. Per secoli a Milano la primavera si è festeggiata il 13 marzo invece del 21, in onore dell’arrivo di Barnaba; nel 1396, il Tredesin de mars fu proclamato giorno festivo, solennemente riconfermato da Carlo Borromeo nel 1583.

La pietra segnata del Tredesin de mars

La “pietra segnata” del Tredesin de mars

Il posto più bello è il più maltrattato

Nel XII secolo, l’abbazia appena fondata fu già in grado di acquistare terreni. Al tempo stesso, risulta proprietaria di un ospedale. Il borgo era attraversato dal fiume Lambro Meridionale, che proprio davanti alla chiesa di San Barnaba formava una cascatella. Lambro è una parola greca che significa lucente, dal greco λαμπρως, lampròs. E che anticamente lo fosse davvero, lo conferma il detto milanese ciar com ‘el Làmber, limpido come il Lambro. All’inizio del XVI secolo, Antonio de Beatis, segretario di un cardinale, spiegò invece come “giunti al Lambro nei pressi di Monza, questo era fangosissimo, in antitesi con il suo nome”.  Quindi, il detto milanese con tutta probabilità si riferiva unicamente al Lambro Meridionale, che nasceva dai copiosi fontanili esistenti allora, per congiungersi al Lambro presso Sant’Antangelo Lodigiano. In epoca recente, il fiume è stato deviato di una cinquantina di metri. Più in là ed è ancora visibile, ma ricevendo le acque dell’Olona, il fiume più inquinato e maleodorante d’Italia, si può immaginare quali miasmi si respirino in questo ex angolo del paradiso. 

Che cosa insegna il quartiere Gratosoglio

Né da parte del proprietario, né da parte della Curia, tanto meno dal Comune vi è stata attenzione. Come in molte altre occasioni, imprenditori, Curia e Comune hanno  lasciato che il patrimonio storico della città andasse tranquillamente in malora. Ma se nei primi l’ignoranza può essere comprensibile, imperdonabile è l’atteggiamento degli altri due. Notevole anche l’assenza delle altre istituzioni culturali della città. Università e circoli d’alto bordo in primis.

Qui sotto, lo scorcio del monastero di via Gratosoglio, angolo via Feraboli, all’interno del quartiere, ripreso da fotografie appartenenti a due diverse epoche.

Autore di questo articolo è Roberto Schena © Il Cielo su Milano, riproduzione possibile previo autorizzazione dell’Autore

Il monastero medievale di Gratosoglio con la chiesetta in una foto d'epoca

Il monastero medievale di Gratosoglio con la chiesetta in una foto d’epoca

Lo stesso angolo oggi: la chiesetta è un magazzino e il bel campanile è scomparso

Lo stesso angolo oggi: la chiesetta è un magazzino e il bel campanile è scomparso

Il monastero, sguardo d'insieme

Il monastero, sguardo d’insieme

Il monastero soffocato da edifici recenti nel quartiere

Il monastero soffocato da edifici recenti nel quartiere

L'ex chiosco, sulla sinistra si vedono dei box

L’ex chiosco, sulla sinistra si vedono dei box

Particolare della facciata

Particolare della facciata

La facciata del monastero dei monaci vallombrosiani

La facciata del monastero dei monaci vallombrosiani

Il Lambro Meridionale, fiume di Gratosoglio

Il Lambro Meridionale, fiume di Gratosoglio




Ci sono 2 commenti

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  1. Luciana

    Salve, sono capitata per caso sull’articolo. Molto interessante. Io ci vivo in quella che era la cascina a corte quadrata! E’ stata ristrutturata circa 10 anni fa e si era deciso di mantenere alcuni elementi originali, come gli affreschi recuperati al di sotto del vecchio intonaco dove appaiono i simboli dell’ordine dei frati che ci vivevano e alcune parti a vista con mattoni rossi. Mi sono sempre chiesta quanti anni esattamente possa avere l’intero edificio e se fosse stato costruito nello stesso periodo della canonica. A volte penso : chissà quanta e quale umanità passava nel cortile, abitava nei locali, ora suddivisi in appartamenti, compreso il mio. Qualcuno di loro ha lasciato un segno: una nicchia nel muro o un piccolo camino, scoperti per caso durante la ristrutturazione di qualche abitazione. Il box è un vero scempio, ma purtroppo non si può rimediare, perché regolarmente registrato al catasto. Al suo posto, mi hanno raccontato i vecchi abitanti c’era un grande albero con attorno le panchine. Poi, un giorno, in quattro e quattr’otto, il proprietario di allora di tutto il contesto l’ha abbattuto e costruito il box.

    Vorrei segnalare il PDF I Vallombrosani in Lombardia – Ersaf da scaricare a questo link https://www.ersaf.lombardia.it/it/attachments/file/view?hash=2a72c1e073fe496406614aa3803a2f53&canCache=0

    in cui da pag. 55 si parla in modo esaustivo del monastero, con relativi aneddoti. Per quanto riguarda gli edifici Cederna nelle vicinanze del monastero, sarebbero da recuperare l’ex caserma dei carabinieri, il palazzo accanto e l’ex asilo Regina Margherita, tutti degli anni ’30 e ormai in stato di abbandono in quanto gli eredi non si sono accordati in merito. La superficie dello stabilimento, in parte ancora attivo, è molto ampia e si teme molto “appetibile” per essere demolita e ricostruita. Al suo interno c’è un edificio basso in mattoni rossi con finestrelle / feritoie a forma di croce che sarebbe da verificare se possa avere attinenza con l’ex-monastero. Per evitare, appunto, di piangerci sopra un domani, bisognerebbe sensibilizzare in primis il CdZ. Io l’ho fatto, inviando una mail con le foto. Grazie ancora per l’articolo. Luciana.


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