Borghi salvati: QUARTO CAGNINO

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Un borgo medievale che contrasta con l’edilizia intensiva del secondo Novecento, da cui è completamente circondato

Fra tremendi palazzoni popolari, in stile Plattenbau, spicca per elegante contrasto e ricchezza di storia, Quarto Cagnino. Un’autentica perla, dato il contesto. Il territorio di questo ex Comune, assorbito da Trenno nel 1869 e poi da Milano nel 1923, è oggi un’area di grandi servizi, in mezzo alla quale c’è il borgo, miracolosamenmte sopravvissuto e ben conservato, nonostante gi scempi che ha comunque dovuto subire, con scorci che se non fosse per la presenza di una moto o di un’antenna, di un lampione, sarebbero senza tempo.  Quarto Cagnino è uno dei 70 borghi storici di Milano e uno dei pochissimi che può dirsi salvo, recuperato, sempre per opera dei privati, ovviamente, perché la mano pubblica, anche qui come altrove non esiste, non è mai esistita.

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Giacomino, l’ultimo maniscalco di Quarto Cagnino

Le cascine del borgo erano 9, tre le hanno abbattute ignomignosamente al 100% nei decenni trascorsi, le altre non sono attive ma tutte recuperate a uso abitativo e in un modo, bisogna dire, abbastanza dignitoso. Una fortuna per la nuova Quarto Cagnino, tutta di palazzoni popolari. Certo non si può pretendere un restauro filologico,  il cui auspicio sarebbe di competenza degli uffici tecnici comunali, ma nel disinteresse che carazzerizza l’amministrazione per tutto ciò che è periferico, è tanto se si sono salvati gli edifici, se fra quelli storici non ce n’è nemmeno uno in degrado e se abbiamo qualche bel giardino nelle vecchie corti. I tre abbattimenti hanno fatto  posto a schiere esagerate di edifici a uso popolare, autentici casermoni stile anni ’50 Germania dell’Est, entro i quali però, è incastonata questa autentica perla del passato che sopravviverà per secoli all’edilizia di massa targata seconda metà del Novecento. Parliamo di un nucleo di civiltà che ormai ha un mezzo migliaio e passa di anni sulle spalle, anche se non si vede troppo, appunto perché le ristrutturazioni hanno fatto la loro parte.

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Quarto Cagnino, casermoni talmente lunghi che per non interromperli le strade vi passano sotto

Quarto Cagnino si chiama così perché situato a quattro miglia dal centro romano di allora, ossia piazza Cordusio. Il nome rivela come la prima fondazione del borgo risalga a epoche davvero antiche, oltre i mille anni. Il miglio romano deriva a sua volta da mille passus, corrispondenti a mille passi intesi alla romana, cioè 1 passo = 1,48 metri, un metro e mezo meno due centimetri. Un singolo passus romano equivale in realtà a due dei nostri di oggi, è il movimento completo delle due gambe nel camminare, non di una sola come nell’accezione moderna, per cui Quarto Cagnino è distante da piazza Cordusio ottomila passi dei nostri, come la vicina Quinto Romano lo è di diecimila e solo duemila da Quarto Cagnino.

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Le cascine eliminate sono tre, più il vecchio lavatoio (cliccare sulle foto per ingrandire)

La mano pubblica ha fatto di tutto per degradare il posto, erigendo fronti incredibilmente alte e lunghe di palazzacci, montagne di cemento sotto le quali, per non doverle interrompere, caso unico a Milano e forse in Italia e in Europa, scorrono le strade, in modo che lo smog possa entrare in casa attraverso le finestre, direttamente dalla strada. È come avere l’appartamento collegato ai tubi di scappamento delle auto. La superficialità progettuale ha fatto da padrona, senza vergogna da parte di chi ha firmato e approvato questi progetti degni della prima edilizia sovietica, (incredibilmente difesa e vantata dall’Ordine degli arichitetti milanesi) senza nemmeno un filare di alberi fra le strade troppo strette, un negozio, un bar, un orto o un campo di bocce tenuto da pensionati, un giardino per i bimbi, un monumento o una presenza d’arte, uno spazio sociale al coperto. Che poi sono tutte case Gescal a riscatto, non è che le hanno regalate, sono state comprate con denaro sonante da chi vi abita. È come se chi vi abita le avesse comprate due volte questi appartamenti, una prima volta con i contributi obbligatori pro Gescal, una seconda con il riscatto. Ebbene in mezzo a tutto questo, spicca per dignità e civiltà il vecchio borgo di Quarto Cagnino.

Altri quartieri popolari non sono così fortunati. Anche perché gli abitanti sono completamente circondati da importanti realtà ecologiche altamente ciclabili e da grandi servizi urbani: il parco delle Cave (il più vicino) e di Trenno, la Piazza d’Armi con tutte le caserme annesse, il mega centro sportivo Kennedy e attigua piscina coperta, i grandi impianti dello stadio di San Siro, l’ospedale San Carlo. Ecco, quest’ultimo, se non fosse dedicato a un Borromeo dovrebbe essere chiamato ospedale di Quarto Cagnigno, così come il centro “Kennedy”.

Volendo, il museo Forlanini, che si trova in via Novara 89, fa sempre capo al borgo.  La via (privata) Quarto Cagnigno, con il cosiddetto “piccolo borgo”, che non è quello importante e monumentale di cui stiamo parlando, ma una sua frazioncina, si trova giusto alle sue spalle. Era qui davanti, infatti, nella Piazza d’Armi, che l’ingegnere Enrico Forlanini faceva volare i suoi dirigibili; il laboratorio “Leonardo da Vinci”, ancora esistente, è sul suo terreno. Il borgo si affaccia sulla via Fratelli Zoia, eroi della Grande Guerra che abitavano a Trenno; in effetti, la via parte dal territorio di Trenno, attraversa il borgo di Quarto Cagnino, passa davanti all’importantissima cascina Linterno, dove fra il 1353 e il 1361 soggiornò Francesco Petrarca e qui, pare, compose (tra molti altri) il sonetto Solo e pensoso i più deserti campi vo mesurando a passi tardi e lenti… La via Fratelli Zoia si conclude nel territorio di Baggio.

Immagine 3È formata da una cascina, chiamata Ghisa Maran, o semplicemete nota come el Maran, rimasta quasi intatta. Posta vicino alla via di passaggio fra Milano e Novara, da secoli è un’osteria-locanda, oggi è un ristorante piuttosto apprezzato. Qui sostavano i cavalli durante la notte, sono ancora visibili gli anelli di ferro per legare i quadrupedi; poco distante, nel villaggio, c’era il maniscalco, l’ultimo dei quali conosciuto si chiamava Giacomo Gervasoni, el Giacomin. La sua bottega non c’è più, al suo posto c’è un tabaccaio.

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Si pronuncia “crusetta”, crocetta alla milanese. È un angolo tipicamente manzoniano, il cuore del borgo, dove è situata una colonna di granito eretta nel 1746. Sorregge una croce, ce ne sono molte così in giro per i borghi milanesi. Ricordano tutte le vittime della peste, quindi molt20160108_163740_001 doppiao probabilmente lo spiazzetto triangolare delimitato dai cordoli dovette essere un pezzetto dell’apposito campo santo, con lazzaretto e annessa chiesetta (el Gisioeul vicino?).  La piazzetta è sempre stato il punto d’incontro degli abitanti. Abbandonata all’incuria, se oggi la si vede in condizioni presentabili, è grazie alla mobilitazione della gente che ha costretto il Comune a intervenire.

IL CONFRONTO

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La Crosetta nei primi anni ’50

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Dal raffronto con la foto in bianco e nero, risalente ai primi anni 50, si può notare che tutto è rimasto sostanzialmente intatto: la crocetta (1), l’edificio di fronte, che conteneva la bottega del Giacomin (2), il maniscalco del paese, detto el ferrascin, riconoscibile dal ferro di cavallo messo come insegna e infine èl tabacchè (3), nella Cort omonima. Per sistemare l’area, che il Comune lasciava nell’incuria, occorse la mobilitazione della gente. Purtroppo, come si vede dalla foto a colori, questo bellissimo scorcio tipico di borgo milanese non è nemmeno pedonalizzato…

 

 

 

 

 

 

 

 

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vILLA rOSATI E IL GIESIOEUL dida

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Lo stesso angolo com’era ancora ne 2003 (foto e testimonianza di Massimo De Rigo, le trovate qui). Legenda: 1: villa Rosnati, 2: el Gisioeul (la chiesetta), 3: la casa dei contrafforti

 

 

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A fianco: la casa dei contrafforti e el Gisioeul prima della ristrutturazione (foto sopra)

 

 

 

 

 

 

 

 

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La Cort del Casati come si presenta oggi e, accanto, com’era in origine

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Le immagini d’epoca che vedete in questo articolo sono tratte dal volume:

Le cascine di Porta Vercellina, di Angelo e Gianni Bianchi (ed. Cascina Linterno)

QUARTO CAGNINO “A FUMETTI”

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Ci sono 4 commenti

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  1. Elisa

    Il borgo e’ bellissimo e non c’e’ dubbio, ma vorrei spezzare una lancia a favore dei “palazzoni”, che non sono cosi terribili come sono stati descritti.

    Anzitutto, i servizi ci sono: in Via Constant, annessi al supercondominio, ci sono un bar molto ben tenuto, un’associazione, un centro medico, una scuola guida, una confessione religiosa di cui non ricordo il nome. Il progetto, infatti, fu pensato per integrare i servizi direttamente all’interno del giardino condominiale (con accesso principale anche da strada). Sul lato opposto della via, scuole e centro sportivo.

    Anche i balconi ci sono (generalmente 3 per appartamento), ma sono incassati e quindi difficilmente se ne intuisce la presenza guardando da strada. Molti hanno trovato comodo verandarli.

    La strada e’ poco trafficata e quindi lo smog non si sente. Certo, io abito all’ultimo piano e non sul “ponte”, con affaccio sull’ampio giardino che circonda tutto il supercondominio. Quasi tutti gli appartamenti affacciano sul giardino, a differenza di quanto accade in molte zone di Milano in cui le vie sono davvero strette e trafficate, e i balconi sporgono direttamente su strada. Cosa respirenanno le persone che abitano li?
    Se scendo a piedi in Via Constant, si respira. Procedendo per Via Quarto Cagnino, si respira. Ma appena metto piede in Via Novara, arriva la botta di smog. E’ larga, ma trafficatissima. Non oso immaginare come vive chi abita nelle casette basse che costeggiano tutto lo stradone.

    • Roberto Schena

      Grazie per l’intervento Elisa, ovviamente non pretendo accordo unanime sulle cose che ho scritto, ma quello è un tipo d’architettura e d’intervento urbanistico da non ripetere da nessuna parte a meno che non vi sia una stretta necessità, come nel dopoguerra: qui in via Carlo Marx siamo già 20 anni dopo. I balconi sono solo alcuni inquilini un po’ privilegiati ad averli, sulla facciata li si riconosce perché hanno un altro colore, diciamo che c’è una doppia fila verticale di balconi ogni sei o sette e anche otto di finestre, insomma due o tre balconi per ogni dieci finestre. I servizi ci saranno anche ma lei mi conferma che sono pochi e non significativi, d’altra parte se lei leggesse l’articolo dell’Ordine degli architetti milanesi c’è scritto proprio questo, che si tratta (cito testualmete) di un modello insediativo alternativo a quello del “quartiere autosufficiente”. L’assenza di servizi è vantata, così come il riferimento al Corviale di Roma. Ora, basta andare a Roma per sentire che cosa pensano i romani del Corviale. Farsene una ragione delle strade che passano sotto gli edifici non serve a migliorare l’incredibile superficialità di un progetto pensato, sembrerebbe, APPOSITAMENTE per far entare in casa lo smog delle auto direttamente dalla strada. O almeno così pare… Lei dice che è poco inquinata, io, valutata la collocazione del quartiere, non sono tanto d’accordo. Nemmeno il verde è voluto a titolo di compensazione, quello che c’è è di ritaglio residuo fra una casermone e l’altro e il famosi “ponti” non potranno mai avere del verde a protezione, a meno che non si chiuda la strada, cosa che sarebbe da fare. Lì sotto ci passano auto, autobus, camion e tir.
      E’ proprio il progetto che non funziona. Un borgo come Quarto Cagnino crea paesaggio, andava rispettato il più possibile con edifici meno imponenti, la cui essenzialità consiste, appunto, nell’infischiarsene in toto del paesaggio.

  2. Stefano

    Ancora sulle case ex-Gescal.
    Vero, prima che il quartiere fosse oggetto di costruzione il verde era molto più abbondante.
    Verde non manca, ed è abbondante intorno ad ogni condominio, oltre che in genere nel quartiere.
    Servizi non mancano e non sono mancati (piuttosto, molti piccoli negozi pensati e una volta esistenti all’interno del complesso sono ora chiusi).
    Le pecche dei casermoni ex-Gescal sono tante, ma non è l’assenza di verde ad essere il loro peggior difetto.
    Tra l’altro, il periodo della loro costruzione e abitazione ha fatto in modo che fossero abitati (e poco alla volta riscattati – acquistati) da impiegati e dipendenti pubblici, parastatali o statali, magari non benestanti (e i problemi di microdelinquenza non sono certo mancati) ma sostanzialmente integrati con altri abitanti del quartiere “più agiati”.
    Ogni appartamento ha due balconi e un “balconcino”, tutti “incassati”, e i locali che hanno finestra e non balcone sono quattro. Percentuale invidiabile, per altri quartieri anche blasonati di Milano.
    Il risultato, anche per le case ex-Gescal, è quello di un supercondominio sostanzialmente vivibile, tutt’altro che fatiscente, dotato di verde, vicino ad ampi parchi, connesso ai servizi.
    La progressiva privatizzazione degli spazi ha avuto, come conseguenza lenta ma costante, un miglioramento della loro manutenzione ordinaria e straordinaria (se gli spazi fossero stati mantenuti dall’ex IACP, poi ALER, non si vivrebbe certo la medesima situazione).
    Le case sono grandi e a buon prezzo, consentono di vivere con spazi adeguati anche a famiglie con più di due figli, cosa rara a Milano.
    L’impressione è che l’autore di questo pezzo non viva nel quartiere, al contrario di Elisa, che pare farne parte.

    Sarebbe stato molto più interessante – invece – capire come è stato possibile edificare all’interno del parco delle cave. Casermoni (per signori) all’interno della splendida cornice del Parco. Quello sì mi pare uno scempio, e anche recentissimo!! Eppure Schena non ne parla… peccato!

    • Roberto Schena

      Guardi caro Stefano, lei si sbaglia di grosso, il sottoscritto è l’unico ad avere parlato del condominio costruito all’interno del parco della Cave, dia un’occhiata qua, prima di criticare a vanvera s’informi: https://www.ilcielosumilano.it/2014/05/12/lassedio-del-cemento-al-parco-petrarca-1a-puntata/
      Io non critico gli abitanti, evidentemente, ma il modo di NON tenerli in considerazione, è questo che lei non ha capito nel difendere l’indifendibile. È come se chi vi abita le avesse comprate due volte questi appartamenti, una prima volta con i contributi obbligatori pro Gescal, una seconda con il riscatto. E’ vero, io non abito in quel quartiere. Quindi? Credo che lei non abbia una visione illuminata delle classi sociali e dell’urbanistica contemporanea. Magari diffonda le foto del suo quartiere su Facebook e chieda che cosa ne pensano le persone che non sono abituate a vederlo, avrà una controprova. Del verde e dei balconi ho già detto, non mi ripeto e confermo.
      Infine vorrei ricordare che l’articolo è sul borgo e sul suo paesaggio.


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